Crisi. “Per risanare i conti meglio vendere l’oro”: Mario Deaglio su La Stampa

Pubblicato il 16 Agosto 2012 - 10:30 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – “Per risanare i conti dello Stato meglio usare l’oro”: lo sostiene, in un articolo pubblicato su La Stampa, Mario Deaglio, editorialista ed economista non incline a prov0cazioni o boutade agostane. Conscio delle prevedibili reazioni di chi in questo caso lamenterebbe un’intollerabile depauperamento con la vendita dei gioielli di famiglia (magari come esito di chissà quale complotto internazionale) Deaglio invita a riflettere sulla questione anche per confutare, o almento ridimensionare, la portata degli effetti di altre strategie di attacco frontale al debito pubblico. E’ questa la riflessione più stimolante contenuta nell’articolo, da parte di uno studioso (incidentalmente è marito del ministro Fornero) che non è sospettabile di animosità pregiudiziale verso l’azione fin qui intrapresa dal Governo Monti e sulle scelte che sarà costretto a fare.

Deaglio fotografa, dando conto di un convincimento del mondo della finanza, il parziale fallimento di politiche taglia e tassa. Il pareggio di bilancio cui siamo tenuti entro il 2013, non fa rima con crescita economica. Tagli alla spesa e aumento delle tasse non significano automaticamente il raggiungimento del pareggio di bilancio. Impiccarsi a condizioni draconiane per rispettare i vincoli sul deficit rischiano di di rivelarsi, e in larga misura questo già accade, insufficienti se non controproducenti. Il moloch da abbattere resta il debito, bisogna riuscire a pagare interessi molto più bassi da subito. Sì ma come?

Vendendo beni di proprietà dello Stato e di altri enti. La direzione è quella giusta, osserva Deaglio che, però, mette in guardia da tre rischi riguardanti “il prezzo della vendita, i tempi della vendita, l’opportunità stessa della vendita”. In breve: alcuni beni potrebbero essere svenduti, perché il coltello dalla parte del manico in questo momento ce l’ha l’eventuale acquirente. Organizzare dismissioni in grande stile significa cambiare le leggi, modificare, per esempio, la destinazione d’uso di una caserma con conseguenti nuovi piani regolatori: serve molto tempo. “Infine, siamo proprio sicuri di voler vendere gran parte del patrimonio pubblico”, è la domanda sufficientemente retorica di Deaglio per intuirne lo scetticismo. Motivato, se si considera il punto di vista delle nuove generazioni che si vedono spogliate della ricchezza nazionale, dopo che sul fronte pensionistico hanno già subito un bel furto.

Non resta che vendere, suggerisce Deaglio, uno stock definito di riserve auree. Di oro siamo ben forniti. Nella particolare classifica di chi ha più oro nei forzieri nazionali siamo sorprendentemente ben messi, risultando addirittura quarti nel mondo. Nei forzieri della Banca d’Italia ci sono oltre 2.450 tonnellate d’oro, pari a 110 miliardi di euro. Solo Stati Uniti, Germania e Fmi ne hanno di più. Certo, attingere all’oro della Patria è visto sempre come la carta della disperazione, quella da agitare solo in caso di default praticamente imminente. Ma siamo sicuri, confida Deaglio, che un’oculata vendita scadenzata non ci permetta di destinare tutte le nostre risorse alla benedetta crescita, senza dover ricorrere a tagli penalizzanti e tasse oltre ogni limite che hanno l’effetto, provato, di avvitarci ancor di più nella spirale di “una economia reale avviata sulla strada del coma profondo”?