Glaxo e la “whistle-blower”: la dirigente buona fa punire la fabbrica dei cattivi

Pubblicato il 28 Ottobre 2010 - 15:28 OLTRE 6 MESI FA

Fino al 2003 Cheryl Eckard era la direttrice responsabile dei controlli di qualità della filiale americana di Glaxo-SmithKlin. Cheryl amava il suo lavoro, e dalla sua posizione cercava di migliorare l’industria farmaceutica da dentro.

Nel 2001 aveva segnalato molte irregolarità nella produzione dei farmaci. Sperava, in questo modo, di dare una mano alla sua azienda. Ma i vertici non la pensarono così. E due anni dopo la multinazionale inglese decise di licenziare la manager troppo zelante.

Non l’avesse mai fatto. Perché l’America – differenza dell’Italia – protegge i dipendenti aziendali che segnalano truffe e frodi dei loro datori di lavoro. Si chiama “whistle-blower”, la legge per “chi suona il fischietto”. E Cheryl quel fischietto l’ha suonato. Per questo, si è meritata 96 milioni di dollari, come percentuale della multa inflitta alla Glaxo: 750 milioni dopo un patteggiamento che ha permesso alla multinazionale di non andare a processo.

Tutto per Paxil, Bactroban, Avandia, Coreg e Tagamet: sono i nomi dei farmaci incriminati. Un antidepressivo, una pomata per neonati, un medicinale per diabetici, uno per le malattie cardiovascolari e l’ultimo per le gastriti. Tutti medicinali contaminati prodotti a Portorico in un impianto privo di requisiti di sterilità.

Certo, senza la legge “whistle blower” le cose sarebbero andate diversamente. Ma nell’America di Obama questa legge c’è. E, oltre ad evitare i danni da prodotti e medicinali scadenti, in un anno ha permesso di recuperare dalle aziende incriminate più di tre miliardi di dollari.