Marchionne vola a Detroit e l’Italia trema: la Fiat resterà a Torino?

L’ad della Fiat: «Non cerchiamo lo scontro con l’esecutivo e il sindacato; non c’è niente che non sia stato annunciato con largo anticipo»
Sergio Marchionne, ad della Fiat

Sergio Marchionne vola a Detroit e l’Italia si preoccupa.

Il numero uno della Fiat da Detroit  fa sapere che «non c’è niente che non sia stato già annunciato con largo anticipo, quando abbiamo ripetuto che senza gli incentivi ci sarebbero state conseguenze sulle fabbriche».

L’ultima volta lo ha detto al cda e agli analisti lunedì scorso, 25 gennaio, quando probabilmente la nuova ondata di cassa integrazione era stata già decisa. Lo ripete dall’America e non sembra intenzionato a fare marcia indietro anche se ci tiene a sottolineare che «la Fiat non cerca lo scontro col governo e con il sindacato».

Ma questo esordio del 2010 lascia temere che niente sarà più come prima. Qualcosa si è rotto e sarà complicato rimettere assieme i cocci anche se in serata John Elkann tenta di stemperare il clima: «Non lasceremo Torino e l’Italia. Qui c’è la nostra testa, qui c’è il nostro cuore». La cassa integrazione è la goccia che ha fatto traboccare il vaso non solo nei rapporti con Roma: è una misura che il sindacato interpreta come un segnale di guerra e che riaccende il fronte di Termini Imerese e quello di Pomigliano d’Arco.

A Torino danno per scontato che l’incontro di domani non aggiungerà nulla di nuovo. Questa è la convinzione del Lingotto. «Non ho mai detto che sarei andato a Roma, non era previsto», ha ribadito Marchionne appena due giorni fa e a Detroit, dove conta di stare almeno una settimana secondo un piano di lavoro ormai collaudato che alterna la sua presenza tra Torino e l’America, non ha certo cambiato idea.

La cassa integrazione, che per la prima volta dal novembre 2008 coinvolge contemporaneamente tutti gli stabilimenti del Gruppo, ci sarà. Al Lingotto non fanno mistero che essa sia la risposta ai ritardi del governo sul rinnovo degli incentivi. Anzi la considerano una misura indispensabile per fronteggiare la caduta della domanda o, più esattamente, per coprire il buco di ordini che si sta creando dal 31 dicembre data della fine degli incentivi. Forse il governo non ci ha creduto, rinviando una decisione già presa in altri paesi europei, esclusa la Germania.

Ma questo non cambia il ragionamento dell’ad della Fiat. E che tradotto nei fatti è il seguente: «In assenza degli incentivi, in Italia, si perderanno 300mila auto: il mercato da 2 milioni scenderà a 1,7 e poiché a soffrirne saranno le vetture piccole l’impatto sarà più pesante sulla Fiat». A Torino calcolano che la perdita possa essere attorno alle 150mila auto e avvertono che la caduta è già in atto.

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