Pensioni. Cgia mistifica: spesa 4 volte più di scuola? Dai pensionati 1/3 di stipendi

di Sergio Carli
Pubblicato il 23 Maggio 2015 - 12:31 OLTRE 6 MESI FA
Pensioni. Cgia mistifica: spesa 4 volte più di scuola? Dai pensionati 1/3 di stipendi

Giuseppe Bortolussi. Anche da lui un contributo alla mistificazione contro i pensionati

VENEZIA – Anche la Cgia di Mestre si è schierata contro i pensionati e lo ha fatto nel solito modo più scorretto: il confronto tendenzioso e non omogeneo dei dati. Matteo Renzi è maestro in questo gioco delle tre carte, Tito Boeri ne è degno allievo, i giornali megafono del Tesoro degni emuli. E così la grande mistificazione continua, un nuovo capitolo si aggiunge alla storia del colpo di Stato strisciante, che vuole la Costituzione subordinata alla politica.

La tesi è: la spesa per le pensioni in italia è di oltre 4 volte superiore a quella per l’istruzione, di conseguenza la spesa per le pensioni è eccessiva e va tagliata. Non c’è Paese in Europa dove questo accada: l’Italia è un Paese troppo per vecchi.

Se poi, aggiungiamo noi, nel processo la gente si butta nelle braccia delle assicurazioni private tanto meglio per le assicurazioni e tanto peggio per i pensionati.

Il confronto è cervellotico assai e queste sono alcune delle ragioni:

1. Se il rapporto è squilibrato a danno dell’istruzione non dipende dalle pensioni ma dalla scarsa considerazione in cui la scuola è stata tenuta negli ultimi anni in Italia.

2. La stessa tabella elaborata dalla Cgia su dati Eurostat, lo conferma, quando si vedono i valori assoluti. La spesa per pensioni in Italia è inferiore e di molto a quella di Francia e Germania, Paesi simili in termini di popolazione:

Italia: 269.895  milioni di euro

Francia: 318.754 milioni di euro

Germania: 309.300 milioni di euro

il che vuol dire che per pensioni in Germania si spende il 14% in più che in Italia e in Francia il 18%

La spesa per l’istruzione in Italia è poco meno la metà di quella in Francia e Germania.

3. La spesa per le pensioni vede alla voce capitale miliardi e miliardi di contributi versati nel corso dei decenni da parte di milioni di lavoratori italiani, in linea di principio in proporzione al proprio stipendio. Siamo, in linea di principio, a una media del 33 per cento della retribuzione. Quel fiume di denaro, che ogni mese Inps e altri istituti previdenziali incamerano. Nei decenni si è trasformato in un gigantesco patrimonio immobiliare il cui spesso discutibile impiego non va imputato ai pensionati ma agli amministratori di Inps e enti vari. Se poi, nella speranza di farli rendere di più, quei denari sono stati impiegati in operazioni non immobiliari ma mobiliari, anche questo non è colpa dei pensionati ma degli amministratori.

Sono quindi in prevalenza soldi dei pensionati quelli che vengono distribuiti in pensioni. Se poi gli istituti previdenziali sono gravati di oneri non pertinenti alle pensioni, dovete spiegare perché devono pagare i pensionati. Ci sono anche milioni di pensioni erogate piene a categorie intere dopo 16 anni di contributi: i ferrovieri, le hostess, i piloti, un pezzo di stato sociale un pezzo di prepotenza sindacale. Ma quelle baby pensioni non sono frutto di rapine, discendono da leggi dello Stato e da accordi sindacali. Oggi arriva uno che dice “non c’ero e quegli impegni non li riconosco”. Ma si rendono conto Matteo Renzi e i suoi sicofanti che così distruggono la base della credibilità dello Stato e in genere un presupposto della buona fede, che viene ancor prima del diritto. senza buona fede non ‘è diritto, c’è uno che dice “hai un occhio storto e ti mando in campo di concentramento” oppure “sei zoppo, meglio sopprimerti”.

Ci sono anche casi scandalosi di gente che, sempre grazie a una legge dello Stato, si è vista raddoppiare la pensione con l’attribuzione di contributi figurativi, cioè inesistenti. Così sono anche parlamentari, sindacalisti, impiegati di partiti per le cui pensioni poco o punto denaro è stato accantonato. Il caso di Angelo Pezzana, radicale, è esploso venerdì 22 maggio 2015. Sono casi che indignano, soprattutto se hai lasciato per la tua futura pensione un terzo del tuo stipendio.

Questi casi scandalosi, tutti determinati alla luce del sole e in genere nelle aule del Parlamento, non riguardano i pensionati e quelli più scandalosi di tutti, Deputati, Senatori, sindacalisti, supermanager di Stato, non spostano di molto i conti.

Quel che è grave che il caso Pezzana si sovrappone alla rapina di Stato e vien da urlare: “Vogliono tagliare la pensione a me per darla a Pezzana? Mai”. E sono milioni di voti in cerca di qualcuno che li rappresenti.

Vediamo ora come la Cgia di Mestre, di solito fonte di elaborazioni in buona fede, ha presentato e diffuso attraverso l’Ansa i dati del confronto fra spesa pensionistica e spesa scolastica, dando il suo contributo, non marginale data la credibilità della associazione, al grande inganno delle pensioni:

“L’Italia ha la spesa pensionistica più elevata d’Europa (il 16,8% del Pil, pari a poco meno di 270 miliardi di euro all’anno), mentre è al penultimo posto negli investimenti per l’istruzione (il 4,1% del Pil, che equivale a 65,5 miliardi di euro all’anno). In questo settore solo la Spagna presenta uno score peggiore del nostro (4% del Pil).

La nostra spesa pensionistica, spiega la Cgia, è 4 volte superiore a quella scolastica. Nessun altro Paese dell’area dell’euro presenta uno “squilibrio” così evidente. In Ue, ad esempio, le pensioni costano mediamente “solo” 2,6 volte l’istruzione, in Francia 2,7 volte, mentre in Germania 2,5″.

 

Qui siamo alla parte più imbarazzante, perché è impensabile che il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi non abbia scorso con attenzione le tabelle da lui stesso diffuso e non  abbia notato la sproporzione fra i valori assoluti della spesa pensionistica in Italia e negli altri paesi europei:

“I dati riferiti all’Italia sono in parte condizionati dal trend demografico. Tuttavia, non possiamo disconoscere che le politiche di spesa realizzate negli ultimi quarant’anni abbiano privilegiato, in termini macroeconomci, il passato, ovverosia gli anziani, anziché il futuro, cioè i giovani”.

Ma che vuol dire? Gli anziani si sono costruiti la loro posizione pensionistica accantonando, obbligati. il discorso delle generazioni non attacca, fa il paio con il lavoro come diritto, in base al quale i giovani italiani non vogliono più lavorare per un vecchio presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha detto loro che il lavoro, e che sia dignitoso, perché per quelli non dignitosi ci sono i negri, è un diritto mettendoli nella posizione di esigere il perfezionamento di quel diritto. Poi vanno all’estero e fanno i lavori che da noi fanno i clandestini, ma in Italia no, dateci il diritto, il lavoro ci tocca e senza faticare.

“In Italia tra il 2003 e il 2013 la spesa pensionistica sul Pil è aumentata di 2,6 punti percentuali, attestandosi a quota 16,8%: è il record europeo, con oltre 4 punti percentuali in più della media registrata nell’area dell’euro”.

hanno scoperto l’acqua calda: siamo stati il Paese in Europa unico col Pil in caduta libera, è chiaro che se uno dei due termini del rapporto cambia, cambia anche il risultato del rapporto.

“In termini assoluti il costo per le nostre casse pubbliche nel 2013 è stato di 269,89 miliardi di euro. In Italia ci sono circa 16 milioni e mezzo di pensionati, contro i 18,4 milioni presenti in Francia e i 23,5 residenti in Germania. Tuttavia, rapportando il numero di pensionati al numero di occupati, il nostro Paese presenta l’incidenza più elevata di tutta l’Europa: 74,3%.

Non vi viene il dubbio che da noi siano di più quelli che lavorano in nero? Se Orietta Berti piange sulla sua pensione “da fame” perché non le hanno pagato i contributi, pensiamo un po’ a tutti quei muratori e contadini…

“A fronte di una media continentale del 63,8%, in Francia il dato si attesta al 72,4% e in Germania al 61,6%. Per quanto riguarda l’Istruzione sempre tra il 2003 e il 2013, la spesa per la scuola è scesa dello 0,5%. Solo l’Estonia ha “tagliato” di più (0,6% del Pil). In valore assoluto investiamo 65,5 miliardi di euro all’anno che corrispondono al 4,1% del Pil”.

Ecco la tabella con tutti i confronti dei valori assoluti, più illuminante delle percentuali e che fa chiarezza sulla mistificazione implicita nelle parole sopra riportate.