Scudo fiscale: finora sempre flop. All’estero 200 miliardi: è caccia, senza condoni

Lo scudo fiscale o rientro dei capitali all’estero che dir si voglia finora non ha funzionato. I quattro scudi fiscali, i condoni dei capitali illegalmente esportati varati dai governi di Berlusconi dal 2002 al 2010, non hanno funzionato. Valentina Maglione sul Sole 24 Ore spiega le intenzioni del governo e del ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni. Recuperare i 200 miliardi che si stima siano all’estero senza più sanatorie, scudi o condoni: “La rotta sembra già tracciata con un intervento su due fronti. Sul primo sta lavorando l’agenzia delle Entrate con una struttura ad hoc: l’ufficio centrale per il contrasto agli illeciti fiscali internazionali (Ucifi). Il secondo è un intervento legislativo sia sulle sanzioni tributarie per chi si “pente” riportando soldi e patrimoni in Italia, sia sulle soluzioni per circoscrivere le conseguenze relative a reati tributari e antiriciclaggio. Nel mirino ci sono duecento miliardi di euro da far ritornare, su cui poi recuperare le tasse evase e applicare le sanzioni […] il conto delle attività all’estero non dichiarate dagli italiani può essere stimato in una forchetta tra 157 e 197 miliardi di euro. L’eventuale rimpatrio solo di metà dei 200 miliardi, con sanzione “premiale” tra il 15 e il 20% porterebbe a un incasso fino a 20 miliardi di euro”. C’è già uno strumento che lo “scudato” può usare, ed è quello dell’autodenuncia, come spiega Carlotta Benigni sul Sole 24 Ore:
Scudo fiscale: finora sempre flop. Caccia a 200 miliardi evasi all'estero
Scudo fiscale: finora sempre flop. Caccia a 200 miliardi evasi all’estero (Corriere della Sera)

ROMA – Lo scudo fiscale o rientro dei capitali all’estero che dir si voglia finora non ha funzionato. I quattro scudi fiscali, i condoni dei capitali illegalmente esportati varati dai governi di Berlusconi dal 2002 al 2010, non hanno funzionato.

Valentina Maglione e Angela Cremonese sul Sole 24 Ore spiegano le intenzioni del governo e del ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni:

“Per esempio con un sistema sanzionatorio che preveda una graduazione a favore di alcuni comportamenti, quali errori formali e/o valutativi, la mancanza di recidività, la collaborazione con gli organi accertatori, la buona fede, la mancanza di danno erariale, l’oggettiva difficoltà d’interpretazione delle norme.

Un sistema che, da sempre, viene adottato in molti Paesi esteri in cui il contribuente non viene affrontato con un clima di sospetto a priori. I meccanismi di premialità, peraltro già molto diffusi all’estero, soprattutto nei paesi anglosassoni, tendono a favorire comportamenti collaborativi e a creare i presupposti di una maggiore tax compliance, la cui mancanza è, purtroppo, una costante di lungo periodo del nostro sistema tributario. In questo contesto, i meccanismi di voluntary disclosure allo studio del Governo e dell’amministrazione finanziaria non dovrebbero configurarsi come forme di condono fiscale una tantum. Al contrario, senza rappresentare un incentivo a nuovi episodi di evasione fiscale, questi provvedimenti dovrebbero costituire una sorta di road map per rientrare nella legalità attraverso una collaborazione attiva ed effettiva da parte del contribuente”.

Insomma il governo punta a recuperare i 200 miliardi che si stima siano all’estero senza più sanatorie, scudi o condoni:

“La rotta sembra già tracciata con un intervento su due fronti. Sul primo sta lavorando l’agenzia delle Entrate con una struttura ad hoc: l’ufficio centrale per il contrasto agli illeciti fiscali internazionali (Ucifi). Il secondo è un intervento legislativo sia sulle sanzioni tributarie per chi si “pente” riportando soldi e patrimoni in Italia, sia sulle soluzioni per circoscrivere le conseguenze relative a reati tributari e antiriciclaggio.

Nel mirino ci sono duecento miliardi di euro da far ritornare, su cui poi recuperare le tasse evase e applicare le sanzioni […] il conto delle attività all’estero non dichiarate dagli italiani può essere stimato in una forchetta tra 157 e 197 miliardi di euro.

L’eventuale rimpatrio solo di metà dei 200 miliardi, con sanzione “premiale” tra il 15 e il 20% porterebbe a un incasso fino a 20 miliardi di euro”.

C’è già uno strumento che lo “scudato” può usare, ed è quello dell’autodenuncia, come spiega Carlotta Benigni sul Sole 24 Ore:

“Non è (e non sarà) uno scudo fiscale, quindi presentandosi all’agenzia delle Entrate il contribuente verserà la totalità delle imposte evase (che dovrebbero variare a seconda delle tipologia di reddito prodotto). Tuttavia, dimostrando la propria buona fede e un atteggiamento collaborativo verso il Fisco, il contribuente con capitali off-shore che regolarizza la propria posizione può ottenere benefici sulle sanzioni fiscali e, auspicabilmente, anche un occhio di riguardo nell’eventuale procedimento penale che dovesse aprirsi se le imposte evase superassero le soglie previste dal decreto legislativo 74/2000”.

Sergio Rizzo sul Corriere della Sera passa in rassegna tutti i “buchi” del rientro dei capitali. Uno schiaffo ai contribuenti onesti.

Perché, con l’ultimo scudo, dalla Svizzera sono rientrati solo 9 dei 67 miliardi accertati. Perché fra il 2002 e il 2010 i quattro condoni hanno fatto emergere 180 miliardi illegalmente “emigrati” dall’Italia mentre il Pil nazionale calava del 4,2% e l’economia entrava in crisi.

Se 180 sono i miliardi “emersi”, non sono 180 quelli rientrati in Italia e – quando sono rientrati – non sono serviti a rilanciare attività produttive ma sono stati investiti in finanza o in patrimonio immobiliare. Non hanno prodotto reddito, insomma, ma solo dividendi e rendita per gli “scudati”.

Spiega Sergio Rizzo:

“Che cosa non ha funzionato è presto detto.
Intanto, l’entità della tassa chiesta dal governo agli evasori per beneficiare del condono: dal 2,5 al 7 per cento, a seconda delle versioni dello scudo.
Gettito totale, 7,8 miliardi. Cifra pari all’1 per cento della spesa pubblica di un anno e al 5 per mille del Pil.

Un salatino per sfamare un gigante bulimico. Di più.
Gran parte di quei quasi 180 miliardi che per il 70 per cento erano stati depositati in Svizzera prevalentemente da cittadini residenti in Lombardia, non è fisicamente rientrata in Italia.
La maggioranza è rimasta tranquillamente custodita nei caveau elvetici, grazie a una singolare variante dello scudo: quella di poter semplicemente «regolarizzare» i depositi pagando la tassa ma lasciando i quattrini laddove si trovavano.

Dei 97 miliardi di euro dell’ultima sanatoria censiti da Bankitalia quasi 67 erano in Svizzera.
E quasi 58 non si sono neppure mossi dai forzieri nei quali erano finiti.
Il perdono tombale e la garanzia dell’anonimato davanti al Fisco hanno fatto il resto. […]

Di sicuro gli amanti dei paradisi fiscali non si sono fatti scoraggiare da dichiarazioni di guerra peraltro mai tradotte in pratica (nel 2002 il ministro Tremonti minacciò di far mettere alle frontiere telecamere che nessuno ha visto), se è vero che nell’autunno del 2011, mentre rischiavamo la crisi finanziaria, le banche svizzere erano di nuovo piene.
Per non parlare dei vantaggi che ne avrebbe potuto ottenere la criminalità organizzata. «Non escluderei che i mafiosi abbiano usato lo scudo fiscale», ha detto a Sette nel 2010 uno che se ne intende: il procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, Nicola Gratteri. Secondo Sos Impresa l’economia criminale fa girare 138 miliardi l’anno con profitti per 104 miliardi. Denaro che da qualche parte deve pur andare.

Basta questo per descrivere i rischi corsi con la nostra sanatoria. Ma anche le enormi difficoltà che potrà incontrare il negoziato con la Svizzera, dove sono andati di traverso perfino i nostri scudi fiscali all’acqua di rose. […] Altri Paesi ben più attrezzati di noi, del resto, ci sono già passati: la Germania ha firmato due anni fa un’intesa che prevede il pagamento di una tassa del 26 per cento ma a patto di preservare l’anonimato dei depositanti. L’Austria ha dovuto invece accettare un tetto di appena 300 richieste annuali di verifiche nominative. Ma l’Italia non è la Germania, né l’Austria. L’evasione qui è una piaga ben più grave, purulenta e difficile da sradicare. Mentre la pressione su chi paga le tasse è giudicata insostenibile”.

Finora, secondo Rizzo, lo scudo fiscale è stato troppo soft:

“Ecco perché, a parte le sanzioni che comunque dovranno essere qualcosa di più del semplice scappellotto assestato finora a chi porta illegalmente soldi nei paradisi fiscali, qualunque accordo con la Svizzera non dovrebbe prescindere da due condizioni minime. I capitali illecitamente esportati rientrino in Italia fisicamente, e non soltanto virtualmente.
E per ogni conto corrente il Fisco italiano conosca il nome e la faccia del reale titolare”.

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