Sanremo, nostalgia-kitsch abbondante. La gara? Vincono ancora i talent

Pubblicato il 16 Febbraio 2013 - 10:20 OLTRE 6 MESI FA

SANREMO – Il Festival di Sanremo si avvia verso la conclusione. Questa sera la finale. Un Sanremo per bene, pieno di buoni sentimenti, nobili appelli e bella musica, tanto che persino Twitter sembra in crisi, con scarsi appigli per l’ironia. Ma è stato un Festival all’insegna della nostalgia, ma soprattutto del kitsch.

Lo spiega Gabriele Ferraris su La Stampa:

Il picco di ascolti di giovedì è arrivato mentre Albano cantava Felicità . Albano? Felicità ? Il modello di riferimento del kitsch canzonettaro, il simbolo stesso del Sanremo baracconesco e trash che i critici amavano sbertucciare e il pubblico a casa seguiva con conclamato fastidio e intimo compiacimento (facile, sentirsi chic, a prendere in giro quella roba, eh?), oggi trova consacrazione e standing ovation sul palco del Sanremo fazista della contemporaneità, con Albano osannato come un monumento nazionale. E così è stato per Toto Cutugno (Toto Cutugno! Lui! Quello che per anni s’è beccato il 4 fisso nelle pagelle della critica) celebrato manco fosse Belafonte redivivo.

Il Festival ad ogni modo ha voltato pagina, è arrivato Fabio Fazio con le scelte musicali del grande Mauro Pagani, e sul palco dell’Ariston Gualazzi, gli alternativi Almamegretta, Elio, Cristicchi, Silvestri, Gazzé, la gran voce di Maria Nazionale. Insomma, un’altra musica. Ma al primo televoto, tutti gli eleganti, alternativi e poetici finiscono in fondo, mentre svettano gli idoli dei talent e del pop, Mengoni, i Modà, Chiara Annalisa.

Ferrari però ricorda:

Anche in passato qui si sono sentiti capolavori il più delle volte respinti e sbeffeggiati dal pubblico – e pure da buona parte della critica dell’epoca. Lo dimostra la serata di ieri, dedicata per l’appunto alla storia del Festival: su 14 brani, appena quattro vinsero. Gli altri furono bocciate, spesso con ignominia, e una volta ( Ciao amore ciao ) con tragiche conseguenze. Eppure, quelle canzoni che Sanremo non capì, oggi sono pietre miliari della nostra musica, da Piazza grande di Dalla al Ragazzo della via Gluck di Celentano, da Almeno tu nell’universo di Mia Martini a Io che non vivo di Pino Donaggio. Dobbiamo scandalizzarci? Macché. Ma almeno lasciatemi citare quella volta che un mitico critico di jazz se ne uscì scandalizzato da un concerto sbraitando che quella non era neppure musica. Stava suonando Charlie Parker.