A Roma pagano in “scec”, moneta inventata: il 20% del conto in euro…e in nero

Gli ScecROMA – “Buongiorno, due cappuccini, due cornetti ed un caffè, quanto le devo?”. “Sono 5 euro”. “Ma io ho gli ‘scec’..”. “Allora sono quattro euro e uno ‘scec'”. Molti di noi, ascoltando una simile conversazione alla cassa di un bar, resterebbero come minimo stupefatti. Eppure, almeno a Roma, una conversazione siffatta non è cosa così rara. Sono infatti già migliaia le persone che utilizzano gli “scec” e ben 238 gli esercizi commerciali che li accettano. Ma cosa sono questi “scec”? Sono una moneta alternativa e complementare, eticamente corretta secondo chi li usa e li promuove, a fil di legge e meritevole di inchiesta secondo la la Guardia di Finanza.

Il fenomeno “scec” non è nuovissimo, ha già spento le sue due prime candeline e, anche se non velocissimamente, è in continua espansione. Gli “scec” hanno l’aspetto dei soldi del monopoli, grossi e colorati, e per ottenerli basta registrarsi gratuitamente su un sito internet. Una volta entrati in possesso dei propri soldi alternativi il più è fatto. Per usarli basta a questo punto andare in un esercizio commerciale che li accetti e una parte del conto, pari solitamente al 20%, la si potrà pagare in scec. Anche se lo scontrino sarà battuto solo sulla parte in euro. E proprio qui si nasconde la grana, cioè il problema.

Chi gli scec usa, chi li ha inventati e chi li promuove, li descrive come una moneta alternativa, slegata dallo spread, dalla banca centrale europea, eticamente corretta e utile a far rimanere i soldi sul territorio. Non a caso le grandi compagnie, quelle che poi “spostano i profitti all’estero” secondo i cultori degli scec, non accettano questa colorata moneta. Inoltre gli scec, essendo gratuiti, aiutano a ridurre i prezzi e far sentire meno la crisi a cittadini e commercianti che pagano tutto con un sostanzioso sconto. Bello, bellissimo.

Peccato, perché battere moneta è una prerogativa dello Stato, ma anche e soprattutto perché gli scec alimentano, volenti o nolenti, un naturale mercato nero. La Guardia di Finanza, su richiesta del ministero del Tesoro, sta indagando. Ma non è in questo caso l’indagine di uno Stato cattivo che vuole mettere i bastoni tra le ruote a dei volenterosi cittadini che si organizzano per meglio affrontare la crisi. Il lato oscuro degli scec sta nello scontrino non battuto.

Per quanto in buona fede il mancato scontrino rappresenta il mercato nero. Il barista che accetta il 20% del conto in scec, così come il grossista che rifornisce i ristoranti e accetta anche lui le nuove monete, sottraggono non solo al fisco, ma all’economia reale il 20% degli introiti. Che in altri termini significa, oltre a 20% di tasse in meno, anche 20% di contributi in meno ai lavoratori ad esempio.

Significa, banalmente e ovviamente, 20% di economia nascosta, con benefici immediati per chi paga meno il cappuccino come per chi paga meno tasse ma, come ogni forma di evasione, per quanto eticamente corretta possa sembrare, con benefici zero sul lungo periodo. Quel 20% di risparmi è fatto togliendo soldi alla Stato, alla comunità, cioè a tutti. Togliendo soldi proprio a quel territorio che i promotori degli scec vorrebbero difendere facendovi rimanere i soldi.

Inutile ripetersi, ma nascondere il 20% dell’economia solo apparentemente sembra un risparmio ed un vantaggio, mentre è in realtà una perdita perché significa meno soldi per strade, scuole, assistenza sanitaria a via dicendo. Nonostante siano probabilmente animati dalle migliori intenzioni, gli scec, altro non sono che una nuova e diversa forma di economia sommersa, anche se galleggiano alla luce del sole. A Roma di sicuro e, raccontano, anche in altre città, soprattutto del Sud.

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