Mafia, terrorismo e il caso Brusca: quando Giorgia Meloni andava all'asilo la legge sui pentiti salvò l'Italia Mafia, terrorismo e il caso Brusca: quando Giorgia Meloni andava all'asilo la legge sui pentiti salvò l'Italia

Mafia, terrorismo e il caso Brusca: quando Giorgia Meloni andava all’asilo la legge sui pentiti salvò l’Italia

Mafia, pentiti e fine pena. Un fremito di indignazione scuote trasversalmente tutto il mondo politico. La scarcerazione di Giovanni Brusca ha reso compatto tutto l’arco costituzionale, come si sarebbe detto una volta. Per Enrico Letta è “un pugno nello stomaco”. Matteo Salvini: è “un insulto alla memoria”. Giorgia Meloni: “una vergogna per l’Italia”.

Come al solito si fa a gara per cavalcare il disappunto dei follower. Ma il 15 marzo del 1991, quando fu approvata la legge che ha permesso oggi a Brusca di tornare in libertà, Letta andava all’università, Salvini al liceo e Meloni alle scuole medie. Probabilmente sono troppo giovani per ricordare la sofferta genesi di quella legge.

O la vogliono scientemente ignorare perché torna più utile l’accorato sdegno collettivo foriero di quel  consenso che inseguono.

Eppure dovrebbero sapere che la generazione di politici (e di magistrati) precedente alla loro ha dovuto affrontare un’emergenza criminale senza precedenti.

Prima il terrorismo, poi le mafie stavano mettendo in ginocchio lo Stato.

Qualche inquirente (Falcone prima di tutti) aveva capito che andava replicato quel modello di intervento legislativo con cui era stato sconfitto il terrorismo politico.

Naturalmente non era plausibile aspettarsi che non ci fossero delle ombre negli interventi legislativi, proprio perché si trattava di interventi di natura emergenziale in un contesto anch’esso di emergenza.

Mafia come terrorismo, i pentiti per sconfiggerla

Così è stato sin dal 1979, quando fu inaugurata la stagione delle legislazioni premiali che hanno permesso la sconfitta del terrorismo.

Di quelle leggi, e delle deroghe  a importanti principi costituzionali che ne sono scaturite, si discute ancora adesso, ad esempio in tema di estradizione dei condannati riparati in Francia.

Si temeva inoltre che, per motivi storici, sociali, culturali, quel modello non potesse essere replicato nel meridione: il clima omertoso non lo avrebbe favorito.

E in effetti, in determinati contesti, in Calabria ad esempio, la legge non ha dato grandi risultati.

Ma Falcone, in occasione della collaborazione offerta da Buscetta, ebbe l’intuizione che lo portò a capire che il solo strumento del “ravvedimento operoso” non fosse sufficiente a combattere un fenomeno come la mafia.

Soprattutto che la volontà del collaborante non poteva dipendere esclusivamente da motivi di natura “intimistica”, spesso il solo puro e semplice desiderio di rivalsa – come accadde a Buscetta, desideroso di vendicarsi di Riina – ma doveva concretizzarsi in un vero e proprio “patto” tra i collaboratori e lo Stato.

Mafia e pentiti, servivano regole chiare

La scelta costò cara a Falcone anzitutto. E mise duramente alla prova il nostro sistema processuale, che dovette misurare il proprio grado di tenuta (anche costituzionale) con i problemi che quella legge poneva.

Ebbero inizio duri confronti su temi giuridici che innovavano il panorama giudiziario italiano. Entrarono a far parte del lessico comune nozioni come “chiamata in correità”. Si pose il problema dei “riscontri esterni e interni”.

Fu discussa la possibilità di una  “frazionabilità di dichiarazioni etero e autoaccusatorie”. Concetti che, da un lato, arricchirono la nostra giurisprudenza di merito e di legittimità, ma, dall’altro, posero difficoltà notevoli agli interpreti.

Ma questa è faccenda da Tribunali.

Dal punto di vista operativo è indubbio che la lotta alla mafia non sarebbe stata efficacemente combattuta, con i risultati che ci sono stati, senza che i collaboratori di giustizia – quella di “pentiti” è una nozione metagiuridica – fossero inseriti in un circuito legale, come previsto dalla legge ispirata da Falcone.

Bisognava assicurare a loro e alle loro famiglie, soldi, protezione, alloggi, nuove identità. Uno sforzo notevole per lo Stato.

I risultati contro la Mafia però si sono ottenuti. Eccome

Sbagliavano coloro che pensavano che quella legge non sarebbe servita. Migliaia di uomini e di donne sono ancora vivi grazie ai “pentiti”. Risorse importanti sono state recuperate e acquisite al patrimonio dello Stato. Interi territori pacificati.

Certo, è doloroso immaginare Brusca, Galasso, Ganci e altri “gentiluomini” come loro andarsene a spasso liberi.

Possiamo essere sicuri del tormento con cui uomini del calibro di Giuliano Vassalli, Claudio Martelli o Giovanni Falcone hanno affrontato il tema della contropartita dovuta a questi criminali per il contributo dato alla lotta alla mafia.

Ma era ciò che era necessario fare.

Mettere in discussione adesso quei provvedimenti dà la misura dell’abisso che corre tra quella e questa generazione di politici e magistrati.

Per cui, bene farebbe a tacere chi non ha la caratura morale e la sensibilità giuridica per capirla.

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