Genny a carogna in campagna elettorale. Ma con lui i conti non si fanno allo stadio

di Antonio Del Giudice
Pubblicato il 5 Maggio 2014 - 09:24 OLTRE 6 MESI FA
Genny a carogna in campagna elettorale. Ma con lui i conti non si fanno allo stadio

Genny a carogna in campagna elettorale. Ma con lui i conti non si fanno allo stadio

ROMA –  Da tre giorni non si parla che di Genny ‘a Carogna, l’eroe dell’Olimpico che manco Achille ai tempi della guerra di Troia. Gli umori del Paese finalmente univoci nel condannare, sentenziare, blaterare. E -non poteva essere diversamente- la campagna elettorale si è spostata su Genny, la crisi pure, e anche la dignità di un popolo manzonianamente servo di Gomorra. Individuata e messa nero su bianco la ragione che mette l’Italia agli ultimi posti della civiltà. Lo Stato ha ceduto al ricatto, ha vinto Genny. La partita non andava giocata e via a dettare decaloghi di etica politica, altro che queste pappemolli di Matteo Renzi, Pietro Grasso, Angelino Alfano e Giorgio Napolitano.

Ora, fermo restando che Genny e i suoi simili meriterebbero l’eterna Siberia, in ceppi e a 50 gradi sotto lo zero, qualche considerazione va pur fatta senza intrupparsi nel fiume dell’indignazione nazionale. Che potevano fare di diverso i responsabili dell’ordine pubblico? Potevano ad esempio ordinare a uno stormo di Canadair di far piovere tonnellate di acqua salata sulle curve. Potevano schierare una flotta di carrarmati sul terreno di gioco. Potevano anche favorire un’invasione di campo incontrollata e liberare dalle gabbie qualche centinaio di leoni affamati, come i bei tempi dell’Impero. Invece hanno scelto di trattare con Genny ed evitare una carneficina. Si badi bene che si parla di decine di migliaia di persone normali, intrappolate nella sfida fra Gomorra e Stato, gente senza scampo.

Proviamo ad immaginare se ci fosse scappato il morto, anche uno solo. Pensate che le suddette pappemolli (con aggiunta di prefetto e questore di Roma) se la sarebbero cavata meglio? Pensate che il popolo avrebbe plaudito alla fermezza dello Stato e peccato per il morto? No, fidatevi::sarebbe stato anche peggio, molto peggio. Genny e i pari suoi non avrebbero e non hanno niente da perdere. Per loro, la vita o la morte, la semilibertà o la galera sono più o meno la stessa cosa. Per loro lo Stato non esiste, non soltanto allo stadio la domenica, ma anche in tutti gli altri giorni della settimana.

Con loro, lo Stato ha da essere forte tutti i giorni, in tutti i luoghi dove la prepotenza la fa da padrona. Lo stadio è soltanto la metafora più spettacolare, è il luogo del ricatto peggiore perché mette a rischio troppa gente che non c’entra.

I conti con tutti i Genny si regolano a bocce ferme: nelle strade, nei mercati, nelle banche piene di soldi sporchi, nei territori devastati e avvelenati, nelle gare d’appalto, nei traffici illeciti. Sennò gli eroi come lui vivono il loro momento di gloria pallonara, compiaciuti simboli del Male e poi tornano a fare i loro sporchi affari dove lo Stato non c’è neanche. Altro che Coppa Italia.