Baraccopoli, una delle tante. Questa sotto il ponte detto “di ferro”, quello avvolto, colpito e affondato dalle fiamme partite da qualcuna delle baracche. O da qualche allaccio abusivo e di fortuna, fiamme poi che si sono nutrite della folta flora selvaggia che colonizza le sponde del Tevere. Baraccopoli questa che, a seconda di come ne definisci i confini, fa centinaia o anche un paio di migliaia di “residenti”.
Baraccopoli, una delle tante a Roma. Una ogni ansa del fiume e ce n’è anche per l’affluente Aniene. Baraccopoli anche alle spalle del Palazzo di Giustizia, baraccopoli sulla collina e a valle. Baraccopoli, basta che non si vedano…troppo. Questa la regola e il principio di governo della città a Roma. E basta che non si vedano troppo è anche la massima richiesta della gran parte della pubblica opinione. Basta che non si vedano troppo o basta che le vedano quelli del quartiere più in là.
Lo stesso principio di convivenza civile che la comunità tutta che abita a Roma adotta per e suoi rifiuti urbani. Impianti per trattarli? Basta che non siano nel mio quartiere, nella mia zona. Allo stesso principio si uniforma la cura e manutenzione di ciò che non è cemento: piante crescano e muoiano un po’ come loro pare, basta che non si chieda a qualcuno di occuparsene. A nessuno compete davvero, a Roma regna il “non mi compete”. E comunque, dovesse competere qualcosa a qualcuno, questo qualcuno chiede preventivamente sempre e comunque fondi e personale prima di muovere un dito.
Baraccopoli, sterpaglie, crolli, buche, rifiuti, mezzi di trasporto pubblico, bus e metro, perfino la corretta manutenzione dell’erogazione dell’acqua potabile sono a Roma governati e gestiti all’insegna del basta che non si vede e del basta non tocchi a me. Poi baraccopoli, sterpaglie, crolli, buche, rifiuti, bus e metro e tutto il resto emblematicamente e concretamente si vendicano di una comunità feroce, feroce con se stessa.