Genova, il ponte di Piano simbolo della rinascita dopo il coronavirus

di Franco Manzitti
Pubblicato il 1 Aprile 2020 - 16:29 OLTRE 6 MESI FA
Genova, il ponte di Piano simbolo della rinascita dopo il coronavirus

Genova, il ponte di Piano simbolo della rinascita dopo il coronavirus (Foto Ansa)

Con la sua barba bianca e l’aria più grave di sempre Renzo Piano ha mandato un video di incoraggiamento agli operai che stanno costruendo il nuovo ponte di Genova nei tempi duri dell’epidemia.

Ha detto loro che li paragona ai medici che stanno lottando contro la malattia assassina, perché stanno curando una ferita grave e perché con il loro lavoro danno una speranza.

La speranza è che questa grande costruzione, che Piano ha disegnato, pensandola come la chiglia di una nave, una grande nave bianca, di acciaio scintillante, che attraversa il vuoto del vecchio ponte crollato, diventi come un simbolo non solo per Genova.

Da questi pezzi di ponte, che 1000 operai mettono insieme uno dopo l’altro, tirandoli su con grandi gru, enormi cavi, operazioni millimetriche e gigantesche nello stesso tempo, parte il segnale che c’ è la si può fare, che anche il destino più avverso e più crudele può essere battuto.

Quello del virus killer che striscia silenzioso nelle città deserte e continua a uccidere, quello catastrofico che ha fatto crollare il ponte quel giorno di agosto del 2018, quello apocalittico che aspetta anche il nostro Paese dopo la Grande Chiusura che ha fermato l’economia, il lavoro e che ridurrà le nostre condizioni ad uno stato di terribile dopo guerra.

Piano, l’architetto che ama farsi chiamare “geometra”, misura le parole in quel messaggio di incitamento e di coraggio e di ringraziamento, perché parla a un esercito che stava lavorando da molti mesi senza soste, di giorno, di notte e che stava realizzando un miracolo grazie alle procedure di emergenza e commissariali che hanno permesso di costruire senza freni burocratici, senza intoppi giuridici, senza trappole di concorrenza, senza tortuosità di alcun tipo.

E ora che questo esercito di ingegneri, programmatori, tecnici, operai, con ogni competenza scientifica e manuale, stava per arrivare quasi al traguardo ci si è messo di mezzo il coronavirus.

Un operaio di una ditta che lavorava al ponte si è ammalato, altri hanno chiesto, nell’emergenza biblica dell’epidemia, di ritornare alle loro famiglie.

Il problema della loro sicurezza, mentre l’Italia si fermava totalmente, è emerso.

Il nuovo ponte è stato considerato un’opera “essenziale”, ma sono pure di carne , ossa, anima, sentimenti quegli uomini che lo costruiscono e allora il problema dell’isolamento, da una parte, e quello delle solidarietà umane, dall’altra, hanno incominciato a minare la rapidità, l’efficienza, la incredibile sequenza con la quale i lavori, incominciati in autunno, stavano proseguendo inesorabili verso il traguardo.

Quello di avere tutto il viadotto in piedi, percorribile entro la fine di giugno.

Anzi era già prevista una grande festa musicale per il giorno nel quale il “miracolo” si sarebbe compiuto, con un grande concerto dell’Accademia di Santa Cecilia, proprio sotto la chiglia del ponte, davanti alle sue campate disegnate da Piano come la chiglia di una nave, quel vascello della Traversata” della valle Polcevera.

“Chi sa costruire una nave sa fare tutto – ha detto in quel messaggio il grande architetto, – sa tagliare l’acciaio, sa trattare pezzi pesanti e lunghi, sa metterli insieme, sa trasportarli da una parte all’altra, sa imbullonarli, e poi farne una unica grande opera, la nave, e in questo caso il ponte.”

Si può fermare la costruzione di una nave?

Non si ferma mai nei cantieri che le hanno impostate, costruite in un gigantesco puzzle, poi sistemate per il varo, poi messe in acqua.

Anche quel ponte non si può fermare, perché rappresenta quel simbolo cui tutti guardano.

Il presidente del Consiglio Conte, in uno dei primi discorsi per spiegare le azioni del suo governo contro la pandemia, non aveva proprio indicato il “modello Genova” per superare le difficoltà?

E allora si poteva mettere in discussione proprio ora quel modello, uno schema per risolvere velocemente l’emergenza, per superare i freni che bloccano sempre?

Il ponte non si ferma, forse rallenta un po’.

Il sindaco di Genova, commissario alla Ricostruzione, Marco Bucci, ogni giorno partecipa alla conferenza stampa che fa il punto sulla pandemia e ogni giorno inserisce nei bilanci della terribile malattia anche il suo aggiornamento sui lavori del ponte.

Sembra quasi, quando annuncia che un altro pezzo è stato issato (ora il ponte è già pronto per 800 metri, quando intero sarà 1070 metri), che quella sua persistenza, quella sua insistenza sull’opera sia come una medicina per affrontare l’altro grande male che non solo la città, ma l’Italia, il mondo stanno affrontando.

Se ci riusciamo a fare il ponte nuovo, possiamo battere qualsiasi altra difficoltà. Come dire: state a casa e guardate i passi avanti di quella nave lunga più di un chilometro, che viaggia nella notte, non solo in Valpolcevera, ma anche nella nostra paura di oggi.

La lotta è dura e probabilmente quella data di fine giugno slitterà, di qualche settimana, due, forse tre.

Ma il sindaco e gli operai e i tecnici e i vertici di Impregilo Salini, di Fincantieri, di Italferr, non mollano, battono anche il coronavirus, il distanziamento che deve garantire la sicurezza di chi lavora, di chi manovra le grandi gru, chi tira su gli strand jack, i grandi cavi di acciaio che sollevano i “conci” di acciaio e poi al computer misurano le operazioni per collegarli al resto.

Sali sulle colline intorno alla valle, oggi deserte e silenziose, in quella zona di Genova che tanto ha sofferto dal fatidico 14 gennaio del 2018, ore 11,37.

Che hanno visto il Morandi spezzarsi, poi lo hanno visto diviso dal vuoto, come un Cristo in croce.

E poi hanno visto, il 28 giugno 2019, le cariche di esplosivo che lo sbriciolavano tutto in una immensa nuvola bianca e poi hanno sentito il rumore del nuovo grande cantiere che saliva verso l’alto, il ruggito delle gru, il via vai dei carichi eccezionali, con i pezzi di ponte in viaggio dagli stabilimenti Fincantieri, di Genova, Castellamare di Stabia.

Se sali fino a lassù ora, vedi che manca solo un passo per finire, vedi il luccichio dell’acciaio sulla chiglia, i piloni bianchi che reggono la nave uscita dalla matita di Renzo Piano.

Vedi le montagne di calcestruzzo pronte ad essere spianate per creare le piste dove torneranno il traffico e la vita. E ti sembra che un po’ si animi anche il resto del mortorio da epidemia, che se ce l’ha fatta il ponte ce la può fare anche l’Italia.

E allora è giusto il messaggio di Renzo Piano, che chiama gli artefici del ponte “medici”. Anche loro stanno curando.