Liguria come Charles Trenet: Che resta della sinistra nell'era Toti (nella foto)? Liguria come Charles Trenet: Che resta della sinistra nell'era Toti (nella foto)?

Liguria come Charles Trenet: Che resta della sinistra nell’era Toti?

Ricordate quella bella canzone francese di Charles Trenet, che il Berlusconi prima maniera amava cantare con la sua aria gigionesca?

La canzone di Charles Trenet era intitolata: “Que reste-t- il?” , “Che cosa resta?” Dei nostri amori, della nostra giovinezza….Solo una foto, una vecchia fotò….

Appunto “que reste e-t- il”, che cosa resta dei vecchi amori politici di una volta in questa città di Genova, in questa regione di Liguria. Capovolta così rapidamente. Diventata “totiana”, moderata. Già in qualche modo post leghista. Post grillina.

Ma sopratutto post “rossa”. La vecchia roccaforte di un partito egemone. Che dettava legge soprattutto nelle sue principali città, nei centri urbani, nelle aree metropolitane. Ma anche nelle valli industriali, nei suoi grandi porti, negli avamposti di una classe operaia “storica”, nelle piazze piene delle sue bandiere?

Cosa resta in Liguria?

Appunto “que reste-t-il”, si chiedono gli osservatori. E i cronisti in solerte analisi degli ultimi risultati elettorali, seggio per seggio. Con una particolare dedizione proprio alle zone delle vieux fotò alla Charles Trenet. Il Ponente genovese. La Valpolcevera del Morandi crollato e del nuovo ponte-nave di Renzo Piano. Le alture dei grandi insediamenti urbani popolari. Il Cep, Begato, le Lavatrici, il Diamante. I quartieri una volta abitati dai lavoratori del porto, san Teodoro, Oregina.

Non resta niente, probabilmente neppure un vecchia canzone o forse, attaccata a qualche parete di una altrettanto vecchia sezione del Pci, solo una “vieux fotò”. E nella mitica sala Chiamata dei “camalli”, i portuali di san Benigno, i ritratti di Marx e Lenin e del sindacalista-martire Guido Rossa.

I numeri e poi le inchieste, le interviste al volo per strade e quartieri ci dicono che la rivoluzione incominciata dieci anni fa si è completata.

I geni “rossi”, dentro a quella vecchia roccaforte, non ci sono più. Inutile che si illuda qualche vecchio militante nostalgico in cerca delle sue radici dove non esistono.

Prima è caduta la Liguria, cinque anni fa per mano di Toti I. Poi a catena gli eserciti di Destra, allora in prevalenza leghisti, hanno conquistato Savona, La Spezia, Genova, Sarzana.

La provincia bianca di Imperia

I vecchi militanti che si muovevano a decine di migliaia nell’arco ligure, erano un esercito. Salvo la provincia “bianca” di Imperia. Dove prima regnava la Dc, poi ha incominciato a svettare Claudio Scajola, tre volte sindaco, ministro di Berlusconi, processato 17 volte, assolto 16. Ma dove c’è pur sempre Sanremo, più ondivaga, meno controllabile sia dalla Destra che da quell’esercito rosso che oggi ci fa chiedere: que reste-t-il?

Il Pd, che sarebbe stato l’erede, ma che non lo è, abita altrove. A Genova spesso nei quartieri più borghesi della città, Castelletto, Albaro, Carignano, nel Levante. Dove il suo risultato elettorale spicca come una beffa “storica” rispetto ai bei tempi, ai vecchi amori.

Sotto il ponte Morandi i resti degli tsunami elettorali in Liguria

Sotto il ponte crollato e rifatto c’è come una cartina al tornasole dei terremoti, degli tsunami elettorali.

Erano strade e piazze “rosse”. Dove abitavano perfino molti leader della roccaforte. La Marta Vincenzi , ex sindaco di grandi prospettive, falciata dalle alluvioni e dalle condanne della magistratura. Il Claudio Montaldo, vice sindaco, potente assessore della Sanità ligure. Gianni Crivello, l’ultimo candidato sindaco della sinistra-sinistra, sconfitto da “re” Bucci.

Sono diventate prima leghiste, poi grilline. E oggi che in quattro e quattr’otto il ponte è stato rifatto, totiane e “bucciane”, dai nomi dei due “capi” che hanno fatto il presunto “miracolo” di Genova.

Nei quartieri e nelle strade delle roccaforti di una volta, quelli che si chiamavano “compagni” vanno a votare. Magari con il medaglione del Pci al collo e con il ricordo di Enrico Berlinguer nel cuore – come raccontano ai cronisti a caccia di memorie. Ma poi la scheda che hanno deposto nell’urna era per Toti.

“ Sono di sinistra, ma voto per il presidente uscente – rispondono nelle interviste “volanti” – perché ha lavorato bene.”

Batti e ribatti i vecchi quartieri, cercando i testimoni di queste rivoluzioni a rovescio per la tradizione genovese. Sestri Ponente, ex Stalingrado d’Italia per la durezza della formazione “rossa”. Sampierdarena, la ex Manchester d’Italia per le fabbriche a ridosso delle banchine portuali. E li trovi tutti con lo stesso tono, quasi di “excusatio non petita”, si battono la mano su quel cuore rosso. Ma hanno votato Toti.

A Toti il 22% dei voti in Liguria

La sua lista “Cambiamo” è il primo partito della Liguria. Ha conquistato più del 22 per cento, porta in Regione un nugolo di consiglieri. A partire dalla ex giornalista Rai e Mediaset, Ilaria Cavo, quarantenne cronista di nera tv, assessore uscente allo Sport alla Formazione. Che prende quasi 8 mila preferenze, la più votata di Liguria tra le donne.

La Lega si incazza e non solo figurativamente al 17 per cento. La sua assessore alla Sanità, Sonia Viale è stata clamorosamente trombata: entrerà in consiglio solo se ripescata.

I grillini spariscono intorno al 9 per cento. Loro che nel 2015 svettavano al 24 per cento, con una candidata, Alice Salvatore, oggi fuoriuscita dal Movimento. E fondatrice di un nuovo partito denominato del “Buonsenso”. Affondata a 711 voti personali dalle decine di migliaia di cinque anni prima.

Il Pd, che difende in Liguria le sue quote al 19 per cento, è però sconfitto con grande distacco nella battaglia campale per la presidenza. E si consola con il successo delle sue seconde e terze linee di ieri. I sindaci dei piccoli comuni, che entrano in consiglio regionale con messi di voti. Mentre l’establishment dell’ex roccaforte crolla.

Non c’è da stupirsi. Il Pd si sta già scannando sull’ultima sconfitta e non ha neppure più bisogno di ammainare le sue bandiere.

I suoi leader nazionali, Andrea Orlando e Roberta Pinotti, ex ministri e oggi ai vertici del partito e del Parlamento, continuano a giustificare le alleanze che hanno prodotto l’ultimo patatrac. Ma che peso hanno loro nelle ex roccaforti?

Per andare in Parlamento sono stati “nominati” in collegi lontani dalla Liguria. In casa avrebbero perso malamente. Non rappresentano più un popolo, ma solo le loro istanze di carriera a Roma.

Il sopravvissuto Pippo Rossetti, già assessore e consigliere per il Pd nelle ultime legislature, autodefinitosi l’ ”ultimo dinosauro”, dopo avere navigato a pelo d’acqua per tutta la campagna elettorale, senza mai emettere una sola bolla per il suo candidato presidente Sansa, ora, conquistata la poltrona per 87 voti sulla promettente sindaco di Rossiglione, Katia Piccardo della new generation, emerge in superficie. Sparando un siluro sul vertice del suo partito che, comunque, per la terza volta lo porta in consiglio regionale con tanto di deroga concessa.

Tutto lo stato maggiore democratico è falciato dal voto. Alberto Pandolfo, il segretario provinciale, fedelissimo della Pinotti, è uno dei trombati eccellenti, insieme a Giovanni Lunardon, consigliere uscente e stratega da anni di sconfitte a catena, che forse tornerà a fare lo speleologo.

Il segretario regionale Simone Farello gira per la città, offrendosi come agnello sacrificale. Ma avrà subito la grana di decidere chi sarà il leader di una opposizione da dividersi come gli stracci, tra il suo partito deflagrato, i Cinque Stelle ridotti ai minimi termini e i brandelli della sinistra più radicale.

Que reste-t-il? Nulla o forse solo la speranza di una nuova generazione, proprio quella dei sindaci o degli ex sindaci dei piccoli paesi e delle cittadine, che non entravano neppure nelle “vieux fotò”. Sant’Olcese, Bergeggi, Ventimiglia, Rossiglione, che hanno dominato la lista Pd.

Ma questi, che hanno preso il triplo dei voti dei trombati genovesi, parlano già un’altra lingua e il francese di Jacques Trenet e della sua canzone nostalgica non lo masticano proprio.   

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