Un percussionista a torso nudo batte forte sul suo tamburo, di lato alla piazza De Ferrari, cercando di meritarsi qualche monetina dai passanti nell’ombelico di Genova.
Il tam tam sale in alto verso le finestre degli uffici della Regione e poi rimbalza agli angoli della grande piazza, dove tutta la storia pubblica di Genova si è spesso riassunta. E dove oggi non c’è un solo segno della campagna elettorale che si sta spegnendo senza essersi praticamente mai accesa. Nelle ristrettezze temporali di una estate postcovidizzata e segnata dal distanziamento sociale e quindi anche politico elettorale.
Nessun suono di comizio o match elettorale per le regionali in Liguria ha mai soffocato il tam tam del percussionista. Perché nulla si è svolto qua, dove da decenni l’agone politico trovava, soprattutto in tempo di elezioni, il luogo ideale. Sotto la statua di Garibaldi, o proprio sotto le finestre della Regione, fuori dal davanzale di Giovanni Toti. Il presidente uscente e quasi sicuramente rientrante, che in questi mesi ha fatto di tutto meno che i movimenti di una campagna elettorale.
Il Toti stupefatto candidato alle Regionali di cinque anni fa
Lui cinque anni fa aveva vissuto in maniera stupefatta la sua inattesissima vittoria. Dopo essere stato paracadutato in questa regione, prevalentemente dominata dalla nomenklatura “rossa”. Mai in bilico, se non in un brevissimo periodo intorno all’anno Duemila.
Questa volta si è sempre comportato come se le elezioni regionali non ci fossero, salvo avere fatto fuoco e fiamme perché si tenessero in luglio.In modo da sbrigare alla svelta la pratica elettorale. E non andare a cadere, come avviene, in un voto mescolato ai rigurgiti pericolosi della pandemia e al tanto sofferto inizio della scuola.
La campagna elettorale per le regionali in Liguria, unica regione dove funziona la alleanza giallorossa tra il Pd e i Cinquestelle, più gli altri partiti e movimenti della Sinistra, è così un paradosso.
Fanno campagna per le Regionali solo a sinistra
Nel quale si scontrano solo il candidato di questa sinistra da laboratorio, Ferruccio Sansa, giornalista del Fatto Quotidiano, genovese. E quello di Italia Viva, più Europa, più Azione e movimenti laterali, il professore Aristide Massardo, già preside della Facoltà di Ingegneria all’Università di Genova, a lungo in predicato lui stesso come concorrente per tutto l’arco di sinistra, indi scartato e poi rifugiato dai renziani.
Nessun confronto tra candidati alle regionali perché Toti li ha rifiutati tutti, compreso l’ultimo, organizzato niente meno che lunedì prossimo dalla Curia genovese. Da tenere sulla piazza della cattedrale, tra le quinte dei caruggi e la facciata storica di san Lorenzo.
Il governatore uscente e candidato sostiene di avere altro da fare. Lui stesso, insieme alla sua giunta, non hanno neppure presentato un programma per i prossimi cinque anni.
Da destra nemmeno un programma per le Regionali
La campagna per loro è continuare a governare, inseguiti dalle emergenze, come quella della pandemia, che ha riacceso i suoi focolai. Soprattutto a La Spezia, dove si va avanti a botte di cento contagiati al giorno, dopo l’irresponsabile festa per la promozione in A della squadra di calcio locale. Con trentamila in piazza a cantare e ballare.
Dove il Toti sfuggente è stato costretto in extremis a rinviare l’inizio delle scuole al 24 settembre.
Come l’altra emergenza della forsennata battaglia contro Autostrade, che tra maggio e agosto ha strangolato la viabilità in Liguria con i nuovi cantieri nelle 285 gallerie.
Certo: Toti e la sua compagnia più o meno cantante di assessori, consiglieri e candidati sgomitanti hanno avuto un’estate di grane ma anche di rimabalzi positivi. Come la lunga cerimonia di inaugurazione del nuovo ponte, che ha portato a Genova tutte le massime autorità dello Stato. E un riconoscimento per il presunto “modello Genova”, che vale da solo la probabile rielezione del centro destra alla guida della Liguria
Ma in questo modo senza una contesa frontale con il presidente uscente la campagna è stata larvale. Un vero bilancio dei cinque anni di Toti non si è potuto tirare, almeno in termini di confronto.
La nuova elezione è un timbro
Cinque anni fa il neo eletto faceva il suo ingresso nel palazzo del potere regionale, chiedendosi probabilmente quale bizzarro destino si era scatenato. Oggi sembra che la sua possibile elezioni assomigli a un timbro.
Perfino il filosofo guru Massimo Cacciari, calato a Genova per in incontro a favore di Sansa, ha ammesso che la vittoria della squadra giallorossa è “pressochè impossibile”, come scrive Marco Imarisio sul “Corriere della Sera”.
Ccosa ci si può aspettare dall’ultima settimana di campagna, quando i leader dell’una e dell’altra parte scenderanno – bontà loro – nella superisolata Liguria?
Gli anatemi di Saviano sul Pd ridotto a un vapore acqueo sembrano perfettamente ritagliati per i democratici liguri. Da cinque anni stanno perdendo ogni consultazione. Hanno ammainato la bandiera rossa ovunque.
Débacle dell’establishment post comunista
Dopo la Regione Liguria conquistata da quello stupefatto Giovanni Toti, sono cadute una via l’altra in mano alla destra, Savona, Spezia, Sarzana e soprattutto Genova-capitale. Oggi governata dal supersindaco Marco Bucci, scelto dal centro destra, anche se apolitico o pre politico o post politico, comunque nemico del Pd.
Il Pd genovese e ligure non è riuscito a fare opposizione a Toti per cinque anni. Ha schierato contro Bucci un brav’uomo, Gianni Crivello, massacrato alle elezioni comunali. E non sembra più in grado di avere alcuna risposta dalla società civile, ammesso che essa esista ancora a Genova.
I giovani leader piddini hanno balbettato per mesi cercando un candidato per le regionali e alla fine hanno inghiottito quello che Roma aveva deciso. L’alleanza giallorossa e la scelta del candidato con quel timbro.
Gli artefici del “ripiegamento genovese” sono stati i due leader liguri più importanti a Roma, il vice segretario nazionale Andrea Orlando, spezzino, un classico prodotto del pollaio postcomunista, tutta una carriera nell’apparato, salvo il Ministero della Giustizia. E Roberta Pinotti, genovese ma di Sampierdarena, già ministro della Difesa di Renzi.
Sinistra ligure abbandonata dai liguri
Ambedue eletti, ma sarebbe meglio dire “nominati” in Parlamento fuori dalla Liguria, dove non beccano più voti, sono stati i registi dell’alleanza giallorossa.
La Pinotti, dopo essere passata nelle file dei franceschiani ( era stata una renziana convinta), è stata gratificata con la presidenza della Commissione Difesa.
Orlando è in costante surplace per diventare segretario del partito, il sogno probabilmente impossibile della sua vita di Apparatčik. Che volete che importi loro della Liguria e dei suoi progressivi destini di sconfitte a catena?
E così la vera partita che si gioca in Liguria in queste regionali non è tanto quella per conquistare la Regione. Ma per vedere se nel centro destra, a larga matrice leghista e, quindi, sovranista, una anima diversa, più moderata, più liberal, trova un risultato dignitoso.
Torna in gioco Scajola
Qui salta fuori il vecchio campione tanto discusso ma sempre in sella ed ex ministro, Claudio Scajola. Oggi sindaco di Imperia per la terza volta, vero regista di una manovra moderatrice, con liste e candidati di appoggio a Toti, ma distanti dagli estremi appunto sovranisti e destrorsi dell’alleanza.
Questo gioco è complesso, ma anche sottile nella scelta dei candidati e delle liste per le regionali. E sarà l’osservato speciale del risultato. Scajola ha subito 17 processi e ne è uscito. Per ora è soccombente solo nel primo grado del processo di Reggio Calabria per il favoreggiamento di Antonello Matacena, forzista in latitanza nel Medio Oriente.
Fa a tutto campo il sindaco di Imperia e il leader di Polis, appunto formazione di respiro liberal, che ha trovato accordi con Toti, dopo iniziali contrasti. Ma che spinge in tutta la Liguria questa vocazione “terza”. Augurandosi di piazzare due tre consiglieri in quel palazzo di De Ferrari a Genova.
Se ci riuscirà sarà una punta di diamante nella nuova maggioranza e una pista per un discorso politico nuovo.
Toti contro la Lega
L’altro match interno che si gioca all’ombra della contesa ligure è tra la lista di Toti, che si chiama “Cambiamo” e quella della Lega. Se il risultato totiano sarà vicino a quello della Lega, se non prevalente, la Liguria avrà un connotato di governo diverso. E il suo presidente potrà rimettersi in quella pista dalla quale nell’agosto del 2019 era stato violentemente sbalzato fuori. Quando il Papeete e il naufragio di Salvini avevano affossato il suo tentativo nazionale di un movimento autonomo e fiancheggiante nel centro destra.
Avremmo un Toti meno ligure e più italiano.
Il tam tam che rimbomba nel vuoto elettorale di Piazza De Ferrar dalle mani del percussionista dilettante scandisce anche questa attesa. In mancanza di meglio, cioè di un vero scontro, bisogna accontentarsi così.