Liberalismo finito in Italia, ecco perché Boris Johnson ci ha umiliato

di Giorgio Oldoini
Pubblicato il 18 Ottobre 2020 - 21:13 OLTRE 6 MESI FA
Liberalismo finito in Italia, ecco perché Boris Johnson (nella foto) ci ha umiliato

Liberalismo finito in Italia, ecco perché Boris Johnson (nella foto) ci ha umiliato

La fine del liberalismo in Italia. Salvini, Meloni, Zingaretti, Renzi e l’intera sinistra riformista si dichiarano “liberali”. Un po’ come faceva Kennedy ai tempi dello slogan “siamo tutti berlinesi”.

I grillini non sembrano interessati perché incarnano la supremazia del “popolo” rispetto all’individuo. Come avveniva ai tempi del fascismo o del comunismo. Sergio Mattarella ha censurato Boris Johnson. Secondo Johnson gli italiani sarebbero meno “liberi” degli inglesi. Per quale ragione i cittadini “inglesi” si considerano tuttora il centro mondiale del liberalismo?

Perché, essi affermano, i governi, a parte le parentesi belliche e pandemiche, hanno fiducia nella razionalità degli individui. Ed evitano l’uso dell’autorità. Non esiste interesse della collettività che possa essere realizzato con atti impositivi. E non esiste governo che abbia il diritto di interpretare quale sia l’interesse del “popolo”.

Liberalismo, modello inglese e modello cinese

Gli inglesi credono che non possa esservi libertà economica senza le altre libertà fondamentali (di religione, di pensiero, di parola e di tutela contro gli arresti arbitrari). Nel resto del mondo le cose non vanno così.

La Cina ha dimostrato che una dittatura guidata da un partito unico comunista può accettare le regole del mercato. È l’occidente che deve proteggersi dai prodotti cinesi. In India, la democrazia “elettorale” è preda di etnie in guerra tra loro, mentre i paesi islamici sono ossessionati dal fattore religioso.

Non deve quindi stupire che in Italia non esista più una democrazia liberale. La politica dei sussidi a pioggia. L’esistenza di varie polizie e di agenti del fisco militarizzati. La riduzione dell’uso del contante attraverso gli incentivi statali. La possibilità di accesso ai conti correnti dei cittadini da parte del fisco. Il vigile motorizzato in borghese che organizza agguati per colpire gli autisti indisciplinati. La prevalenza delle proposte di legge per via di decreto. Le registrazioni ambientali e telefoniche con il trojan per i delitti comuni. I giornali che sono in privilegiato contatto con le Procure.

I giudici che interpretano le leggi in modo creativo e abusano degli arresti prima dei processi. Il rinvio dei termini di prescrizione per “spazzare” via i corrotti. Gli accertamenti di redditi “induttivi” stabiliti a tavolino da burocrazie supponenti. La pletora di parlamentari balbettanti e di ministri impresentabili. L’esistenza di innumerevoli liste che ricevono rimborsi elettorali e poi spariscono.

La demonizzazione sistematica della politica, delle istituzioni, dell’impresa. Che ha portato alla distruzione dei “valori” ideali.

In nome dell’interesse superiore del Paese

Tutto ciò sarebbe inconcepibile in Inghilterra ma è accettato dalla grande maggioranza del popolo italiano in nome di un “interesse superiore del paese”. Esattamente come ai tempi del fascismo. Gli italiani hanno rinunciato alla libertà in nome di una effimera sicurezza.

Il liberalismo inglese implica che l’individuo sia il fine e il centro del sistema sociale ed economico. E che le istituzioni non siano che mezzi per il conseguimento degli obbiettivi individuali. Da tale concetto deriva che la libertà rappresenta il maggior fine politico.

Facciamo l’esempio dell’uso delle carte di credito. In Inghilterra e nei Paesi nordici sono le banche che offrono prodotti informatici e servizi bancari efficienti, a costo zero. E sono i cittadini a scegliere liberamente di ridurre l’uso del contante per realizzare il proprio interesse individuale. Lo Stato ne resta fuori.

Il giudizio di Churchill sul diritto romano

Perché gli inglesi possono vantarsi di essere gli ultimi liberali? La risposta è una sola: per il loro sistema giudiziario. Il premio Nobel e statista Winston Churchill, dopo aver ricordato i principi della common law, a proposito del sistema “romano” così chiosava.

“Nella legge romana e nei sistemi che ne sono derivati, un processo si risolve spesso in un’inquisizione. Il giudice può indagare sulla responsabilità dell’imputato. E questa indagine è in qualche misura incontrollata. I testimoni a carico possono deporre in segreto o in sua assenza. Ne consegue che spesso l’imputato è esposto ad una segreta intimidazione. Che la confessione può essergli estorta. Che può riconoscersi colpevole o patteggiare sotto la pressione di un ricatto o per evitare le lungaggini e i costi del processo”.

Si tratta di una puntuale definizione di “Mani pulite”, i cui protagonisti vennero elevati al rango di eroi della patria.

L’Italia lontana dal liberalismo

Per capire meglio come il nostro Paese sia lontano dai valori liberali inglesi, ricorderò che l’attore Hugh Grant ha ottenuto un risarcimento a sei cifre dalla società editrice proprietaria dei giornali Daily Mirror, Sunday Mirror, Sunday People. Avevano abusato delle intercettazioni in modo da mettere in scena alcuni scoop.

Riporterò inoltre gli atti relativi alla discussione alla House of Parliament, relativi alla privacy e alle intercettazioni.

“Non potrà mai esservi il il rischio che le intercettazioni finiscano sui giornali. Infatti nessuno può essere condannato o disonorato per la semplice intercettazione. Non siamo mica in uno Stato di Polizia. Anche se venisse intercettata una telefonata con la quale si indica una persona responsabile di omicidio, occorre trovare il corpo, l’arma del delitto e il movente. Se il prosecutor (che, ricordo, fa capo al director of Public Prosecutions di nomina governativa) non trovasse gli elementi per sostenere l’accusa in un processo, dovrebbe archiviare.

Intercettazioni e liberalismo

Ne deriva che se gli elementi di accusa restano provati non c’è bisogno delle intercettazioni. Se non sono provati, l’azione penale non può avere seguito. In entrambi i casi le intercettazioni non devono essere pubblicate.

Inoltre, non è interesse del prosecutor rischiare la propria carriera e perseguire un reato senza prove sufficienti per ottenere la condanna”.

Ricordo una mia esperienza professionale che ribalta i principi del liberalismo inglese. A Roma si verificò  un caso giudiziario che fece scalpore. Il titolare della cattedra di ragioneria, con il quale collaboravo, venne incaricato dal Pm di svolgere una perizia relativa all’esistenza di un falso in bilancio a carico degli amministratori di una grande società finanziaria.

Il pm e il perito

Il professore si presentò dal Pm e gli consegnò le conclusioni tecniche che escludevano quel reato. Il Pm, così lo apostrofò: “Se la riprenda la perizia, Lei doveva asseverare l’ipotesi dell’accusa, non dirmi se il bilancio fosse o meno falso”.

In effetti il Pm nominò un nuovo perito (un carneade qualunque), chiese e ottenne il rinvio a giudizio di una decina di persone. Il processo si concluse, dopo molti anni, con l’assoluzione di tutti gli imputati.

Molti procuratori della Repubblica sono convinti (e lo dichiarano pubblicamente) che, in ragione dei tempi lunghi della giustizia, per far scontare la pena e attenuare l’idea diffusa dell’impunità, l’unico modo è quello di far arrestare l’imputato prima del processo.

Un’affermazione solo in parte paradossale. Che mette in luce come alcuni magistrati pensano di dover ricorrere a discutibili pratiche di indagine. A motivo dell’inefficienza della stessa istituzione di cui fanno parte.

Gli inglesi e il resto dell’Europa ci guardano stupiti. Ma la maggior parte delle attuali forze di governo, applaude. Anche l’opposizione non sembra preoccuparsi troppo delle condizioni di libertà degli italiani. Non avverte i veri aspetti autoritari dell’azione dei governi. E si limita a contestare i metodi illiberali prima rappresentati. In funzione del proprio interesse elettorale.

Il sistema di libertà in Italia è finito per colpa di tutti. I partiti autenticamente liberali, stanno riducendosi a soglie insignificanti.