Obama in Asia: una ”sgobbata in salita” che ha ottenuto poco o nulla

Consuntivo del viaggio di Obama in Asia; per il New York Times è stato un tour improduttivo, si può solo dire che cosa non ha ottenuto; senza Michelle e i bagni di folla, il presidente di fronte a problemi che sembrano insormontabili: commercio, sicurezza, clima, Iran e Corea del Nord.
Stretta di mano tra Barack Obama e Hu Jintao

Sintetizzando il suo giudizio sul viaggio in Asia appena concluso del presidente Barack Obama, il New York Times non lesina le parole: si è trattato, scrive, di una ”sgobbata in salita” senza grandi risultati. Nonostante si sia definito il”primo presidente americano del Pacifico”, Obama ha trovato nel continente pane per i suoi denti.

Ci sono, naturalmente delle giustificazioni. Senza la first-lady al suo fianco, Obama non ha potuto avere l’attenzione mediatica ricevuta durante il loro viaggio in Europa. Senza l’equivalente della mano tesa verso i palestinesi, non ha potuto avere le le stesse lodi accordate dal mondo islamico durante la visita in Medio Oriente. E senza una sosta in Indonesia – dove trascorse l’infanzia –  non ha potuto ricevere l’entusiasmo tributatogli ad Accra, in Ghana.

Invece, trascorsa la novità del primo presidente Usa nero a visitare l’Asia, Obama si è trovato a dover affrontare problemi insormontabili come la politica monetaria (in Cina), il commercio (in Cina, Singapore e Corea dl Sud), la sicurezza (in Giappone), e il gigante continentale cinese. Non sorprende quindi – ironizza il Nyt – che durante la parte più dura del suo viaggio, in Cina, il presidente si sia preso una mezzoretta di relax visitando la Grande Muraglia.

Del suo viaggio asiatico, prosegue il Nyt, si può  quasi parlare solo in termini di quello che non ha ottenuto. In Cina ha accuratamente evitato di incontrare progressisti,  dissidenti, attivisti per una stampa libera e perfino gente comune, con i suoi  assistenti affannati a spiegare alla stampa occidentale al seguito che la colpa era dei troppi impegni presidenziali.

Nondimeno, per il presidente, fervidamente dedito all’apertura come caratteristica dominante della sua personalità politica, è stato un insuccesso. Reso ancor più evidente quando i cinesi hanno riempito di studenti universitari aspiranti membri del partito comunista la conferenza che Obama aveva voluto a Shanghai, con l’intento di realizzare uno scambio di idee con la ”gioventù cinese”.

Una settimana fa, quando Obama ha cominciato il suo viaggio in Giappone, lo hanno festeggiato tutti per le strade e sui giornali. Ma il presidente si è ben presto accorto che la popolarità tra le gente non assicura necessariamente successi dietro le porta chiuse del Kantei, la Casa Bianca giapponese. In ogni caso, gli analisti politici hanno lodato Obama per aver migliorato il dialogo con i nuovi leader nipponici.

L’ex-diplomatico Kunihiko Miyake, docente di affari internazionali alle Ritsumeikan University di Kyoto, ha però rilevato che gli Usa e il Giappone non vedono tutto allo stesso modo, specialmente in una regione dove l’equilibrio del potere è stato alterato dall’ascesa della Cina.

A Singapore la riunione dell’ Apec (Asia Pacific Economic Cooperation) ha attratto l’attenzione dei media, ma non per i motivi auspicati da Obama. Con un accordo tra i leader partecipanti, sponsorizzato da Stati Uniti e Russia, si è deciso di depotenziare il ruolo della Conferenza di Copenahgen sul clima, procrastinando le decisioni ed evitando date certe e cifre vincolanti.

In Cina, il capo della Casa Bianca ha espresso un timido e obliquo riferimento ai duri controlli cinesi sulla libertà di parola e internet, senza mai menzionare, o meno che mai, condannare il governo cinese. Obama e il suo collega cinese Hu Jintao hanno definito i loro colloqui ”sostanziali”, anche se non sembra che abbiamo compiuto molti progressi su problemi come l’Iran, la sottovalutazione della moneta cinese o i diritti umani.

La mancanza di sostanza nei colloqui dei due leader ha indotto gli assistenti di Obama a cercare di correre ai ripari inviando ai giornalisti una dichiarazione in cui si afferma che la visita in Cina è andata bene, cosa che è stata interpreta per dire che non è andata bene affatto.

La parte più facile del viaggio di Obama è stata nella Corea del Sud, incrollabile alleato degli Stati Uniti e di grande aiuto riguardo alle aspirazioni nucleari del suo vicino del nord. Praticamente nessun problema tra Washington e Seul.

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