Taglio dell’Irpef abolito dal blocco conservatore reazionario

Il blocco conservatore reazionario che abolì il taglio dell’Irpef

ROMA- Se non il primo di certo è stato il più chiaro: “Vogliamo togliere tutto il taglio dell’Irpef per bloccare l’aumento dell’Iva ed evitare la stretta sulle detrazioni fiscali”. Se non il primo di certo Stefano Fassina, responsabile del settore economia del Pd e “giovane turco” del partito, cioè con Bersani ma “da sinistra”, è stato il più coerente, determinato e onesto nell’indicare le priorità sue e del suo partito: prima viene la spesa pubblica, poi vengono gli interessi delle categorie, tutte, dai commercianti ai consumatori e buon ultimo viene il taglio delle tasse sul lavoro dipendente e le sue buste paga.

Mica solo il Pd, pronto a barattare, ad abolire il taglio dell’Irpef anche quel che resta del Pdl. E pronti, prontissimi a buttare nel cesso il taglio dell’Irpef i due partiti di opposizione, Sel di Vendola e Idv di Di Pietro. A tutti, chi più chi meno ma sempre tanto, appare “ottimo scambio” quello di conservare tutte le esenzioni, detrazioni e deduzioni fiscali, sia quelle sociali vere, sia quelle sociali finte, sia quelle lobbystiche, sia quelle clientelari, insomma tutte quelle da chiunque “conquistate” in trenta anni di lotte e favori e rinunciare invece al taglio dell’Irpef. A tutti i partiti, presenti e futuri e a tutti i sindacati, tranne la Cisl ma, si sa direbbero e dicono alla Cgil, “quelli sono attaccati ai soldi”.

Mica solo la spesa pubblica in detrazioni e deduzioni e sconti, rinunciando al taglio dell’Irpef si salva anche il presidio di democrazia rappresentato dall’orario di lavoro dei professori di scuola media e superiore. Passando da 18 a 24 ore a settimana si spezza la catena della trasmissione del sapere, si compromette il futuro della generazione studente e il presente della generazione docente. Si nega il fondamentale diritto umano di aver più soldi e non più ferie se lavori un’ora di più al giorno. E non si fa posto ai precari-supplenti dimenticando che la funzione primaria e sociale dell scuola italiana è quella di produrre stipendi e redditi, magari stentati ma che “piovano” sulla più vasta area possibile di umani e umane. Che altro dovrebbe fare la scuola? Per salvare questo presidio di democrazia, cultura ed economia, vade retro taglio dell’Irpef.

Mica solo la spesa pubblica fatta di sconti e l’orario dei professori scritto sulle tavole di Mosè, anzi in un intoccabile Corano della Pubblica Istruzione, abolendo il taglio dell’Irpef si salva anche l’umore dei commercianti e artigiani e professionisti e tutti coloro che pagano l’Iva, la più evasa delle imposte italiane. Non si era detto e documentato che il carico fiscale andava per ragioni di equità, giustizia ed efficienza spostato “dalle persone alle cose”, cioè dall’Irpef all’Iva? Si era detto e anche la sinistra aveva giurato che era cosa giusta e buona. Ma al primo passo la sinistra si chiama fuori e si mette di traverso, Bersani avverte Monti che non se ne deve far nulla. La destra è anti tasse e basta ma, se deve scegliere, difende per natura e istinto al spesa pubblica e redditi e lavori autonomi.

Quindi si forma, si è formato un bel blocco sociale, vasto e variegato. Blocco conservatore perché tende a mantenere il sistema fiscale italiano così come è. Conservatore non sempre è una cattiva parola, dipende da cosa si conserva. Conservare fisco e spesa pubblica italiana con i connotati attuali: questa la missione del blocco che abolisce il calo dell’Irpef. Ognuno giudichi e soprattutto si faccia il conto con chi e cosa gli conviene stare, partiti e sindacati l’hanno fatto.

Blocco però non solo conservatore ma anche reazionario. Reazionario non vuol dire dittatoriale, fascista o similari condanne. Vuol dire tecnicamente, storicamente e per dirla perfino con Karl Marx, blocco che assume una posizione politica e sociale non favorevole allo “sviluppo delle forze produttive”. Senza meno tasse sul lavoro dipendente, senza meno Irpef, senza minor costo per unità di prodotto in Italia e altrove ci sarà sempre meno produttività, produzione e ricchezza prodotta. Quindi meno da distribuire anche volendo, da sinistra, redistribuire fin quasi all’uguaglianza. Se invece la distribuzione più o meno equa della ricchezza prescinde dal produrla quella ricchezza, quel “surplus”, allora è accumulazione e distribuzione, rissose o corporative relativamente importa, della rendita fondiaria, della “manomorta”, del debito pubblico a seconda delle epoche. Tecnicamente, storicamente e politicamente azione reazionaria. Senza offesa ai molti, troppi, conservatori consapevoli della spesa pubblica e reazionari inconsapevoli della storia d’Europa.

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