ROMA – Per chi votare in queste elezioni 2013, ci chiediamo ogni giorno e siamo milioni. Forse c’è una domanda preliminare, perché votare. La tentazione di non votare è forte, ma le ragioni per farlo sono di più.
Provo a spiegarmi con un lungo passo indietro, a quasi settanta anni fa.
Siamo diventati ricchi, o quasi, grazie alla Armata rossa al confine, ma il nostro è sempre stato un benessere anomalo.
Ma la nostra nuova ricchezza in parte era ed è fondata su quanto producevamo, ma in parte era ed è a debito.
Per sedare la tentazione di affidare i nostri sogni di progresso a una Repubblica popolare, accanto al benessere generato dal prodotto, sono cresciuti anche i posti non produttivi. L’intero apparato pubblico si è trasformato in Stato sociale.
Ma poiché non c’era abbastanza ricchezza né generata né accumulata da ridistribuire, si sono fatti debiti.
Fine del comunismo
Tutto bene fino al 1989, quando il comunismo è finito, il suo simbolo, il muro di Berlino è caduto, e noi abbiamo perso fascino strategico per i nostri benefattori di ieri, i quali ci hanno detto: arrangiatevi e restituite alle grandi banche americane i miliardi e miliardi che vi hanno prestato. Se non avete niente da parte, vendetevi casa (i pezzi più belli di Finmeccanica, Telecom), aumentate le tasse. Così siamo arrivati a una aliquota marginale del 45%, talmente alta che, nel prosieguo, qualcuno, lassù al ministero, senti il dovere di ridurre un po’, al 41%.
Per l’Italia questi ultimi vent’anni sono stati una altalena fra recessioni globali, recessioni nostre esclusive (quella del ’93 e quella dell’ultimo anno) e periodi di benessere.
Per nostra fortuna infatti siamo abbastanza integrati nell’economia europea e in quella globale, così che quando tutto il mondo gira in su, anche noi gli andiamo dietro, seppure a velocità ridotta per tutte le rigidità che ci stringono e che per me sono ineliminabili: farlo comporterebbe la distruzione di milioni di posti di non lavoro, cosa semplicemente impossibile.
Siamo parte di un sistema più grande, metà della nostra industria è già una appendice di quella tedesca che a sua volta esporta nel resto del mondo e questo ci tira su, nelle fasi positive del ciclo.
Quando il ciclo è verso il basso, come negli ultimi quattro anni, torna a farsi sentire il peso dei debiti passati, che il boom del momento anestetizzava.
E poi, oltre al debito, c’è il peso micidiale, di costo e inefficienza, della burocrazia, insormontabile per chiunque: è li da sempre, come la magistratura, altro settore che richiederebbe ampia riforma, e, nel passaggio dallo Stato sabaudo a quello di oggi, ha subito la meridionalizzazione post unitaria, il fascismo, la guerra fredda.
Questo è il quadro di fondo, che ci porta a rassegnarci di fronte a un inesorabile declino, vivendo solo nella speranza di respirare un po’ meglio grazie a qualche bolla, come l’intervallo fra i momenti del supplizio eterno dell’ inferno di Dante.
Poco cambia, è il ragionamento di chi non intende andare a votare, perché sono tutti uguali, nessuno è pulito, sono tutti ladri e incapaci e nulla comunque cambierà.
Eppure l’ultimo anno ci ha dimostrato che al peggio non c’è fine e che una cattiva gestione di un piano inevitabile può portare a risultati ancora più gravi del peggio già immaginato.
Governo
Al di là del giudizio sui singoli individui che formano ancora il Governo in uscita, resta un dato di fatto, il fallimento del Governo dei Tecnici e questo per un dato oggettivo, la sua stessa natura di Governo che nega la politica, che è poi la quintessenza della dittatura; il rifiuto del voto come leva di comando, l’unica per quanto debole, di cui i cittadini dispongono.
La principale ragione per cui questa volta bisogna andare a votare è per scongiurare il ripetersi di un altro Governo tecnico cui va solo un riconoscimento, quello di avere reso ancora più grave la recessione: ora davvero i ristoranti sono vuoti, le auto non circolano più, il traffico non è mai stato così snello.
Chi voto?
La scelta è fra questi principali partiti o affini: Pdl, Scelta civica e satelliti, Movimento 5 Stelle, Pd e Sel. I primi tre sono partiti incardinati attorno a un personaggio, Berlusconi, Mario Monti, Beppe Grillo; senza di loro il partito muore, come stava per morire il Pdl prima della condanna di Berlusconi che lo ha fatto tornare in pista; il quarto un partito di uomini, di persone, di idee, dove il segretario è uno, ma potrebbe essere un altro o un altro ancora, come ce ne sono stati altri e il partito c’era e c’è.
Berlusconi
Il Pdl è Berlusconi e non è credibile come non è credibile lui, Berlusconi. Non tanto per i suoi vizi privati, anche se fanno sempre molta presa sugli adoratori della lettera scarlatta, ma per la non motivazione politica su cui si basa la sua attività politica, dalla quale discende il suo comportamento pubblico eversivo e irriverente, soprattutto all’estero, che tanto fastidio ci ha dato, tanto caro ci è costato e alla fine anche Berlusconi ha scontato.
Confrontiamo Berlusconi con Michael Bloomberg. Entrambi sono miliardari. Bloomberg è uscito dalla azienda che porta il suo nome e ha scelto di fare il sindaco di New York come uno può deciderai di darsi alla letteratura o alla pittura dopo una fortunata carriera aziendale. Non risulta abbia mai telefonato alla polizia, nemmeno per fare levare una multa, meno che mai si sia occupato di leggi a favore della sua ex società, come Berlusconi per la legge Gasparri sull’assetto della tv in Italia.
Berlusconi è entrato in politica per difendere l’esistenza delle sue aziende, fino a pochissimo tempo fa totalmente fuori legge, aziende tanto grosse e tanto fuori legge che la tradizionale influenza sui partiti non bastava più, ci voleva il controllo diretto dello Stato.
La vita delle sue aziende e la sua libertà personale hanno costituito quasi per intero questi vent’anni il nucleo della sua attività politica. Nel resto del tempo come politico, si è occupato di tenere assieme, con abilità da consumato politicante, una coalizione del tutto disomogenea, di ex socialisti, ex fascisti al Sud, Lega al Nord, vent’anni di equilibrismi, bugie, promesse non mantenute che ne hanno fatto il più longevo politico democratico, più longevo di Giovanni Giolitti.
Avere identificato l’azione politica del suo partito con se stesso lo ha reso incapace di ogni cambiamento, a cominciare dalla giustizia, che tanto sarebbe stato necessario: averla trasformata da interesse generale degli italiani in un sua crociata privata lo ha privato del consenso necessario anche nel suo stesso schieramento.
A suo credito va detto che l’azione di risanamento fiscale dei cui meriti poi Monti si è appropriato aveva avuto inizio nel 2010, sotto il suo Governo, come gli è stato riconosciuto dalla Unione europea. Ma lo ha fatto Giulio Tremonti, che Berlusconi ha sempre frenato, sempre sperando in una ripresa che chissà quando arriverà
Monti & associati
La campagna elettorale di Monti ha preso sul finale una brutta piega. Parole sempre più eversive, che dopo venti anni di Berlusconi ci lasciano freddi, dovrebbero invece provocare sdegno e preoccupazione.
L’atteggiamento di Monti è stato in modo crescente e sempre più sprezzante anti democratico, a partire dalla sua nomina, che ha costituito una palese violazione della Costituzione. Lo ha scritto in un libro, lo ha detto in sedi ufficiali, lo ha detto con toni sempre più da demagogo nella campagna elettorale.
Monti ci ha ingannato, complice il silenzio di tutti gli altri, sulla portata del fiscal compact, che sarà per noi una serie di mazzate fiscali per i prossimi venti anni.
Ci ha ingannato sulla sua azione di governo, che non c’è stata, salvo una riforma delle pensioni che, per quanto semplice nella sua dolorosa logica è stata trasformata in un mezzo pasticcio, una riforma del lavoro fatta nel senso opposto di quel che ci voleva. La guerra agli ordini ai taxisti e ai farmacisti si è tradotta in una serie di fallimenti, ammesso sempre che alla crescita dell’ Italia servano davvero più farmacie e taxi.
Quello di cui ci sarebbe e ci sarà bisogno è invece una profonda riforma della burocrazia a tutti i livelli, statale, regionale, provinciale, cittadino, meno procedure, carte e gente. Ma il fallimento era implicito nella stessa natura del Governo tecnico, pia illusione di un popolo di ex contadini che ancora guarda allibito a don Ferrante e considera i Professori una specie eletta.
La sinistra ha accettato Il governo tecnico, per calcolo elettorale anche giusto, nella logica di egoismo di partito, anche se il Pci ci aveva educato a considerarlo puro veleno fascista e anti democratico.
Il Governo tecnico ha saltato la mediazione della politica, ha addirittura instillato in molte menti sprovvedute l’idea che il voto sia non la quintessenza della democrazia ma l’origine di tutti i mail del mondo e soprattutto ha installato nell’istanza di ultimo appello, il Governo, i vertici di quello stesso apparato burocratico che andava spacchettato e messo in mora.
Monti ha una cosa in più, la spocchia di chi non ci deve nulla, perché non lo abbiamo votato, si sente scelto là dove si vuole ciò che si puote, e a lui di noi e dei nostri legittimi, per quanto scornacchiati, rappresentanti non importa nulla.
Dà la sensazione di essere il portavoce di quel segmento di persone che non si capacitano della intollerabile ingiustizia per cui ci sono persone ricche che non hanno studiato, mentre loro, i professori, dispongono di un reddito infinitesimale. Questa è pura sovversione dell’ordine celeste, che dovrebbe vedere al vertice i laureati (lasciamo da parte tutti i master), poi i diplomati, poi poi poi…
Sono loro i personaggi che Ayn Rand ha individuato come la vera minaccia del progresso, animati da un risentimento verso il successo che non sia il loro.
Beppe Grillo.
Non mi piace, anche se molte delle cose che dice le pensiamo tutti. Ma ha portato a nuovi estremi la carica eversiva che era in Berlusconi: eversivo era anche dare della culona alla Merkel e parlare a Sarkozy in modo ambiguo della sua donna.
La gente crede a Grillo perché è stanca di tanto malgoverno, di una classe politica che ha superato tutte le diversità ideologiche, sublimandole nel malaffare condiviso e senza esclusione.
Ne resterà fuori il Movimento 5 Stelle?
Sarà un fenomeno come l’ Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini? Come il movimento di Pierre Poujade in Francia?
Molti se lo augurano e forse un più recente riferimento storico aiuta.
In fondo anche la Lega, ormai in ambasce, forse anche alla vigilia di una mutazione in una nuova Dc, spaventava, agli inizi degli anni ’90, gli americani come un nuovo fascismo.
Pd e Bersani
Il Pd, anche se il suo segretario, Pierluigi Bersani, cerca di emergere come personaggio con l’aiuto del suo accento emiliano, resta l’unico partito sopravvissuto con le sue strutture e i suoi pregi e i suoi difetti.
Lasciamo stare i difetti, incluso il prevalente Dna post comunista che ha avuto il massimo fulgore recente con l’eliminazione di Matteo Renzi, accettando il rischio di perdere le elezioni del 2013. Pregi dei partiti, ruolo nella democrazia
Lasciamo perdere anche la questione morale, geniale invenzione degli anni ’70 per prendere i voti dei ceti medi, stanchi allora come oggi di tanto malgoverno, cui non sarebbe stato proponibile peraltro il modello sovietico.
Pensiamo al presente. C’è il rischio che, una volta insediato al Governo, il Pd dia libero sfogo alla demagogia che lo assale dalla sua sinistra, si accanisca con nuove tasse che certo nemmeno la presenza nel Governo di Monti, come ha dimostrato, saprebbe frenare.
Ma penso che il freno verrà dagli stessi elettori del Pd. Quanti ex poveri, cresciuti con la crescita dell’Italia in questi 50 anni, hanno continuato a votare il Pci e le sue mutazioni, mentre la sempre migliore posizione economica, frutto di impegno, fatica, lavoro duro, li portava a comprare una, due, tre, tante case, il mattone. Accortamente, Bersani e anche Nichi Vendola hanno tolto il tema dal tavolo.
So che metteranno nuove tasse: ma non per loro malvagità, ma per il modo subalterno e acritico con cui Monti e tutto l’apparato burocratico diplomatico ha subito il diktat del Fiscal Compact.
Sono elettori e elettrici sconcertati, incerti, anche spaventati, che però il Pd non può permettersi di perdere.
In Italia più che altrove, i partiti non rappresentano blocchi sociali e di interesse omogenei. Fuori dell’ideologia e dei sentimenti e della retorica, i ceti meno abbienti, come si dice, si dividono in modo equo tra tutti i partiti, e così anche quelli benestante. Questo è tra l’altro un freno al cambiamento, questo è un ingrediente della spinta costante alla grande coalizione.
Ma alla fine penso che il Pd sia il partito da votare, non per simpatia, non per adesione acritica, ma per scelta razionale. È l’unico partito partito, non è soggetto agli interessi, alla vanità di un singoli, è l’unico partito rimasto dove ancora funzionino i ritmi della vita democratica. A volte, come le recenti primarie, i ritmi sono magari un po’ alterati, ma nulla in questa terra corrisponde ai modelli del mondo delle Idee.
Metto anche nel conto che il Pd alla fine faccia un accordo con Monti. Se proprio non si sono venduti l’anima, non potranno mai dargli quel ruolo che gli elettori non gli hanno riconosciuto. E questa è una ragione in più per contribuire a rendere più più forte il partito democratico.
Non credo che il Pd ci farà diventare America e nemmeno Germania. Ma spero che eviti gli scossoni che incautamente, dilettantisticamente, perniciosamente, ci ha inflitto l’attuale Governo. Credo che tanto basti. Se ci sarà di meglio sarà sopravvenienza attiva.
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