Berlusconi, declino e dinastia: Marina capo del Pdl

di Pino Nicotri
Pubblicato il 5 Agosto 2013 - 06:58 OLTRE 6 MESI FA
Berlusconi, declino e dinastia: Marina capo del Pdl

Marina Berlusconi: erede anche politica di papà Silvio?

Il declino di Berlusconi, la dinastia nel Pdl, la designazione ereditaria di Marina. Cme si è arrivati a questo punto? Cercare di capirlo è davvero istruttivo. Prima però osserviamo alcune cose delle ultime ore. Quello che più fa ridere da una parte e sbigottisce dall’altra, nell’attuale contorsionismo di Berlusconi, è la passiva e anzi adorante accettazione dei suoi fans della probabile decisione di mettere una sua figlia, Marina, alla guida del suo partito.

Che Silvio Berlusconi ragioni e decida da padrone assoluto anche nel suo partito non suscita meraviglia, anche perché il Pdl è in effetti un partito inventato e finanziato da lui, una delle sue molte proprietà private: la sua spaziosa e comoda villa politica in aggiunta alle grandi ville e vaste residenze di Arcore, Sardegna e Roma.

Sbigottisce però e crea allarme dover constatare che su un tale familismo non ci trovi nulla da ridire nessuno dei suoi fans, compresa la massa di deputati e senatori eletti in Parlamento, alcuni dei quali sono anche ministri. Tutto ciò sbigottisce e crea allarme perché è indice di una subalternità che non ha nulla non solo di politico, ma neppure di civile.

Berlusconi s’è ridotto a imitare il peggior Umberto Bossi quando questi ormai sul viale della rottamazione indicò i suoi figli – e in particolare Renzo il Trota – quali suoi successori nello scettro della Lega Nord. Dove però un Roberto Maroni ha saputo evitare l’indecoroso naufragio familista.

Ci sarà un Maroni anche per il partito di Silvio? Non è detto. La Lega nonostante tutto, pur inventata dal “senatùr” e gestita come l’ha gestita, non è mai stata “roba sua”. Non è mai stata il suo partito personale, non è mai stata finanziata con i suoi quattrini visto anche che Bossi era uno spiantato e non uno stra-stra-straricco. E’ ormai pubblicamente ammesso dal diretto interessato e accettato dalla massa dei suoi devoti che l’interesse di Berlusconi in realtà non è né l’Italia né gli italiani, bensì “le mie aziende”: tra le quali c’è evidentemente anche il partito, che passa per l’appunto di padre in figlia come il trono di una monarchia.

L’adorazione acritica per l’annuncio del passaggio del testimone da Silvio a Marina è francamente roba da repubblica della banane – e verrebbe da dire da Repubblica del Banana – o meglio ancora da repubblichetta centro africana. Con tutto il rispetto dovuto agli africani.

Meglio non soffermarsi sui proclami dei vari Bondi, Santanché, Biancofiore et similia: con il solleone agostano i deliri arrivano perfino a fare esplodere le guerre mondiali, motivo per cui i vaniloqui di qualche miracolato non possono sorprendere.

E’ più utile soffermarsi invece sul fatto che a nessuno, neppure in ciò che resta della sinistra, viene in mente di indicare il vero problema: Berlusconi ha troppe televisioni. Non esiste nulla di simile nell’intero Occidente. Neppure nel Brasile di Roberto Marinho fino alla morte, nell’agosto 2003 alla rispettabile età di 98 anni, padrone di O Globo tv, O Globo radio e O Globo giornale cartaceo quotidiano.

Anziché limitarsi ad accapigliarsi sulle sentenze giudiziarie e annessi e connessi come fossimo tifoserie calcistiche sudamericane nelle opposte curve dello stadio, meglio sarebbe decidersi a porre fine all’eccesso di potere televisivo. Perché comporta a cascata altri eccessi, i cui approdi finali sono molteplici e tutti nefasti:

1) – l’imbonimento e ottundimento della pubblica opinione tramite la falsificazione sistematica della realtà reale sempre acconciata alle esigenze aziendali;

2) – il dilagare della subcultura modaiola e della percezione taroccata e acritica della realtà;

3) – il forte indebolimento della libertà reale di stampa provocato dal massiccio drenaggio delle risorse pubblicitarie a favore delle reti Mediaset;

4) – la subalternità anche della Rai costretta alla rincorsa in fatto di audience, con conseguente sbraco del livello qualitativo.

L’altro grave problema è che in Italia non esiste l’editore puro. Non esiste cioè chi di mestiere fa solo l’editore: poche le eccezioni,nella stampa locale e in quella sportiva. I grandi mass media sono tutti in mano a imprenditori, che inevitabilmente li usano per i propri interessi imprenditoriali e personali. Ci fu chi paragonò i partiti ai taxi: si sale, si paga, si scende. Oggi gli editori salgono a bordo, ma non scendono: il taxi se lo comprano. E Berlusconi di taxi se n’è comprata una intera flotta. Per il resto, le risse, le guerre e i personaggi, compresi i grembiulini della P2, i “furbetti del quartierino” e Salvatore Ligresti, dentro e attorno al Corriere della Sera sono cose, gravi e tristi, note a tutti.

Capire come si è arrivati a questo punto non è difficile. Basta leggere il libro “Il baratto”, edito nel 2008 da Kaos e scritto da Michele De Lucia, membro della direzione nazionale del Partito radicale e autore anche del libro “Fiat, quanto ci costi?”. Il sottotitolo de “Il baratto” dice tutto: “Il Pci e le televisioni: le intese e gli scambi fra il comunista Veltroni e l’affarista Berlusconi negli anni Ottanta”, vale a dire nel periodo in cui l’arrendevolezza del Pci, la complicità del Psi e la corruttela non solo della sinistra DC pongono le basi dello strapotere berlusconiano, commedia e dramma all’italiana della quale stiamo vivendo le sbracate e pericolose contorsioni si spera finali.

Terribile il capitolo intitolato “1986 – L’abuso dell’abuso. A pagina 115 si legge: “Intanto a Milano il numero di febbraio de “Il Moderno” (il mensile della corrente “migliorista” del Pci) scrive che “la Rivoluzione Berlusconi [è] di gran lunga la più importante, cui ancora qualcuno si ostina a non portare il rispetto che merita per essere stato il principale agente di modernizzazione, nelle aziende, nelle agenzie, nei media concorrenti. Una rivoluzione che ha trasformato Milano in capitale televisiva e che ha fatto nascere, oltre a una cultura pubblicitaria nuova, mille strutture e capacità produttive”.

Da notare che la corrente “migliorista” del Partito comunista italiano, della quale Il Moderno era l’organo di stampa, era capeggiata da Giorgio Napolitano, vale a dire dall’attuale presidente della Repubblica che si trova a dover fronteggiare il pretenzioso analfabetismo istituzionale dei “perdonisti” e dei “graziaioli” pro Berlusconi.

A pagina 117 mi sono venuti i brividi. “Il 12 settembre, a Milano, al Festival nazionale de “l’Unità”, si svolge un dibattito cui partecipano Walter Veltroni, Silvio Berlusconi, il presidente della Rai Sergio Zavoli e l’editore Mario Formenton della Mondadori. E’ un minuetto Pci-Fininvest, una corrispondenza d’amorosi sensi. Il compagno Veltroni è lirico: “Io voglio dire qui – Berlusconi sa che questa è la mia opinione – che non abbia giovato al gruppo imprenditoriale della Fininvest l’eccessivo padrinato politico e l’eccessiva copertura politica che ha questo gruppo è stato dato da uno e da uno solo partito”, vale a dire dal Partito socialista italiano, segretario Bettino Craxi. E Berlusconi risponde così: “Mi fa caldo al cuore l’idea che il Partito comunista, da tempo ormai, si apra alla considerazione di queste realtà con tanto senso concreto, con tanto senso pragmatico….”. I brividi dipendono dal fatto che quel 12 dicembre io c’ero. Nel pubblico. Ricordo quella scena, quelle parole, il senso di irreale, servile a senso unico e un po’ viscido nei due sensi che emanava.

Il 4 febbraio dell’anno prima, 1985, nel dibattito al Senato – presieduto da Francesco Cossiga – per la conversione in legge del secondo decreto Craxi deciso a legalizzare l’illegalità delle tv berlusconiane prese di mira dai pretori, il senatore Nicola Lipari interviene e dice cose profetiche:

“ L’efficacia e l’incidenza della televisione è stata decisiva, nel bene e nel male, nell’evoluzione della cultura e del costume del nostro Paese. La televisione ci ha dato una unificazione della lingua che per decenni la scuola non è riuscita a ottenere, ma ci ha dato anche, specie dal momento in cui il sistema è stato lasciato all’arbitraria occupazione dei privati, un logoramento del costume morale, una diffusa deresponsabilizzazione, una facile cultura del consumo e del benessere.

“Ci chiediamo: se 30 anni di televisione, almeno formalmente pubblica, ci hanno dato tanto, cosa ci daranno anche solo 10 anni di un sistema misto, in cui tutto alla fine sarà affidato alla logica della pubblicità e del mercato?”.

La risposta al preoccupato interrogativo di Lipari l’abbiamo sotto gli occhi da tempo. Ma leggiamo ancora cosa dice Lipari proseguendo: “Perché di questo si tratta: di creare non un sistema di “gestione” misto, ma un sistema in cui “i contenuti” del messaggio televisivo rischiano di essere sempre più mercificati. Cosa diremmo di uno Stato che affidasse la scuola, non solo nella gestione dei contenuti, alla logica del mercato? E la televisione è ben più efficace della scuola!”.

Anche il senatore Adriano Ossicini dice cose profetiche, gravi e profetiche, ovviamente inascoltate:

“Forse molti di voi non sono obbligati a saperlo, ma il linguaggio televisivo supera le barriere della coscienza, perché è un linguaggio per immagini; noi siamo abituati strutturalmente a un controllo legato a un linguaggio razionale della coscienza. Il linguaggio delle immagini o per immagini in movimento supera questa barriera, supera il linguaggio cosciente e modifica le dinamiche profonde dell’inconscio, specialmente nei bambini: può dunque educare in modo sbagliato e drammatizzare una intera generazione”. Come puntualmente è avvenuto, con danno anche per generazioni successive, temo.

Vox clamans in deserto, Ossicini prosegue implacabile: “Di questo problema non possiamo discutere un’ora soltanto. Dovremmo vergognarci di fronte ai nostri figli, di fronte a tutti! Si tratta di un impegno morale incredibile che disattendiamo di fronte all’unico linguaggio che ci sfugge, che supera tutte le barriere e che modifica profondamente le coscienze e il costume. Siamo veramente al livello di una prevaricazione inaccettabile, disumana e immorale, tale che, se avessimo forse il coraggio di andare fino in fondo, dovremmo dimetterci dal nostro posto, perché questo è un modo di disattendere il mandato parlamentare in modo tale da vergognarci di fronte agli elettori”.

Ma, come sappiamo, non s’è vergognato nessuno. Anzi: Berlusconi è stato mandato più volte al governo, guadagnandosi così comunque un posto nella storia del Bel Paese.

A pagina 311 inizia il capitolo “Berlusconi in Urss – L’anticomunista nella patria del comunismo”. Vi si leggono cose shockanti, a partire dalla conferenza stampa di Berlusconi il 4 maggio 1988 nella Sala della Stampa Estera a Roma, per illustrare i contenuti dell’accordo tra la Fininvest e la tv sovietica, firmato quattro giorni prima a Mosca, dove tutto era pronto per una Fininvest sovietica….. Berlusconi: “Noi non abbiamo cattivi rapporti col Partito comunista italiano, e cerchiamo di averne sempre di migliori”. Veltroni: “Intendo rivolgere a Berlusconi due complimenti sinceri, di stima… Il primo per la sua capacità di imprenditore che è riuscito a “inventare” un settore. Il secondo complimento va alla sua capacità di avere imposto, attraverso un alto grado di egemonia, i tempi delle decisioni politiche in un settore così delicato come quello in cui opera…”.

Veltroni è lo stesso dirigente politico “de sinistra” che nel 1995 lanciò il referendum volto a impedire l’interruzione delle trasmissioni di film e partite di calcio con le inserzioni pubblicitarie. Referendum perso in partenza perché contro le interruzioni da spot non c’erano state né barricate né manifestazioni. E poi dov’è il problema? Se un telespettatore non gradisce non fa altro che cambiare canale. Come è noto, il referendum “salva film” venne infatti perso. O meglio: lo vinse Berlusconi. O meglio ancora: fu fatto inevitabilmente vincere a Berlusconi. Ciò ha significato legittimate il suo strapotere nella raccolta della pubblicità in tv, cioè a dire nell’accumulare quattrini… Quelli successivamente usati per costruirsi il partito di Forza Italia e fare tutto ciò che ne è seguito. Fino alla manifestazione di oggi e a tutto ciò che ancora ne seguirà in futuro.

Prima ancora i furboni “de sinistra”,  già avviati alla piacioneria, si erano inventati l’obbligo per le tv private di fare i telegiornali. Povero Berlusca, obbligato di punto in bianco a diventare il più potente editore europeo…. E che di conseguenza per “salvare le mie aziende” è stato man mano costretto a “scendere in politica”, diventare più volte capo del governo e fare il Masaniello di governo e di opposizione. Fino al patetico comizietto di domenica 4 agosto 2013 ai patetici soldatini dell’Esercito di Silvio e poveracci in là con gli anni del Popolo di Silvio, gitanti scombiccherati che con una marcetta su Roma in pullman pagato dal padrone sono accorsi davanti casa sua in via del Plebiscito. Nome che il suo illustre abitante vorrebbe diventasse riferito a un grandioso plebiscito in suo favore.

A consolare Silvio in lacrime dopo il comizietto non c’erano solo il fido cagnolino Dudù e l’ultima fidanzata in ordine di tempo, Francesca Pascale, di appena 49 anni più giovane. C’è sempre e ancora la volenterosa “sinistra”, o meglio ciò che ne resta: dopo essersene sempre fregata della legge che vieta la candidabilità elettorale di chi, come Berlusconi, detiene una concessione statale (nel suo caso si tratta delle frequenze sulle quali trasmettere i segnali delle sue televisioni), ecco che arriva un disegno di legge per dargli un anno di tempo per scegliere tra la politica e “le mie aziende”. E pazienza se è arrivata prima la sentenza della Cassazione: c’è sempre la possibilità di una bella amnistia….

W il Belpaese dei tarallucci e vino. E della legge eguale (quasi) per tutti.