Liberalizzazioni: al mercato non si va in taxi

di Paolo Forcellini
Pubblicato il 15 Dicembre 2011 - 08:05 OLTRE 6 MESI FA

Qui comunque si tocca il punto cruciale delle polemiche che scoppiano ogniqualvolta si parla di liberalizzazione delle licenze: sarebbe un sopruso inammissibile inondare il mercato di nuovi permessi, dicono i tassisti e anche molte anime belle, svalutando d’un colpo i permessi pagati a sì caro prezzo dagli attuali titolari. Una vera e propria “rapina”. Ma riflettiamo un attimo: le licenze all’origine sono state concesse gratuitamente (e molte di quelle in circolazione sono ancora di questo tipo) e per loro natura non sarebbero cedibili e dovrebbero venir meno per scadenza o con la cessazione dell’attività del titolare.

La prassi di “vendere” un titolo non alienabile (peraltro è stato accertato che “normalmente” il ricavato della vendita non viene dichiarato al fisco) è stata via via più estesamente tollerata in tutti i principali Comuni, così da finire per essere considerata un inviolabile diritto e la licenza un “capitale” di esclusiva proprietà. Ma in sostanza è una situazione abbastanza simile a quella di chi acquista, consapevole, un’abitazione abusiva: facendo questo atto deve essere conscio che se un domani le autorità preposte decidessero di far abbattere l’immobile in questione l’acquirente ne farebbe le spese.

Pare quasi una bestemmia, la precedente considerazione, alle orecchie della lobby dei conducenti. Una lobby potentissima, come si è detto. Se prendiamo ad esempio una città come Roma, i tassisti con i loro familiari e amici stretti controllano alcune decine di migliaia di voti; inoltre ogni conducente incontra quotidianamente alcune decine di clienti e può far con loro opera di persuasione politica (molte leggende metropolitane, a danno di questo o quell’altro uomo politico, sono nate nell’abitacolo di un’auto bianca).

In poche parole, i tassinari sono in grado di madare a casa un’amministrazione comunale e di portare al governo della città una diversa maggioranza. Gianni Alemanno ne sa qualcosa e la sua disponibilità verso le rivendicazioni dei tassisti lo prova ampiamente. Viceversa il suo predecessore Veltroni e pure l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini hanno “imparato la lezione” troppo tardi.

E’ comunque possibile affrontare il problema delle licenze senza adottare politiche da Torquemada nei confronti dei tassisti. Proposte ne circolano diverse e autorevoli già da anni, per giungere a una liberalizzazione senza spargimento di sangue: i tassisti non vogliono nemmeno sentirne parlare e fin qui non hanno mai incontrato sulla loro strada governi e/o primi cittadini autorevoli e ben determinati a non lasciar mettere sotto i piedi se stessi e la maggioranza dei cittadini da un gruppo di pressione anche se pericoloso per le loro sorti elettorali.

Già nel 2004 l’Authority Antitrust ha rilevato l’“insufficiente apertura alla concorrenza” del settore taxi “che si manifesta in una domanda da parte dei consumatori non pienamente soddisfatta” ed è causata da “una forte resistenza da parte degli operatori del settore, favorevoli al mantenimento delle restrizioni quantitative”. E di conseguenza ha proposto due strade per aumentare le licenze senza “massacrare” gli attuali titolari.

La prima prevedeva che venissero concessi molti nuovi permessi attribuendoli agli aspiranti in base a un’asta pubblica: il ricavato di detta gara sarebbe stato distribuito agli attuali titolari per compensarli della “svalutazione” delle proprie licenze in seguito all’aumento del loro numero. La seconda strada proposta dall’Antitrust prevedeva invece che ai tassisti attualmente autorizzati venisse concessa a titolo gratuito una seconda licenza: entro un anno, pena la decadenza della stessa, essi dovrebbero metterla a disposizione di un familiare o affidarla a un loro dipendente, oppure venderla ricavandone un guadagno.

Qualche tempo fa, inoltre, l’economista Tito Boeri, sempre nell’ottica di far digerire più agevolmente ai conducenti una maggiore concorrenza, ha proposto di mettere in vendita nuove licenze e di destinare il ricavato a una cassa autonoma di categoria che garantirebbe rendite, ovvero pensioni integrative, ai tassisti.

Quale che sia la soluzione “morbida” che un giorno potrebbe venire prescelta per aumentare le licenze, sta di fatto che una volta di più i tassisti l’hanno spuntata, anche con un governo “tecnico” che non dovrebbe essere in balìa delle lobby. E così noi ci terremo ancora per un bel po’ una situazione caratterizzata da taxi spesso introvabili (si vedano le numerose ricerche sui tempi medi di attesa di un’auto pubblica nelle grandi città) e da tariffe decisamente superiori che nella maggior parte degli altri paesi sviluppati.