ROMA – La patologia sta rapidamente mutando e da autolesionismo diviene propensione al suicidio. Sto parlando, ovviamente, del malanno che attanaglia il Partito Democratico. Il comportamento tenuto durante l’elezione del Presidente della Repubblica ha reso esplicite le contraddizioni interne e la totale mancanza di solidarietà e disciplina interna al gruppo dirigente allargato. La conseguenza inevitabile è stata l’adesione passiva al governo politico di larghe intese che era considerato approdo inaccettabile e addirittura blasfemo.
È qui che la sindrome ha cominciato a cambiare natura e a peggiorare ulteriormente. Perché dopo tanti errori, dopo le reazioni diffuse e molto dure degli iscritti, dei militanti e degli elettori era lecito aspettarsi azioni ispirate dal buon senso (categoria pre-politica) e mirate a rispondere al disagio e alle sollecitazioni del nostro popolo. Invece ecco affacciarsi “il nobile gesto del suicidio”.
Come si risponde a questo punto alla crisi e alle conseguenti dimissioni del segretario? Non anticipando il congresso, unica sede deputata per una discussione sui nostri valori di riferimento, sul nostro profilo politico, sulla nostra collocazione internazionale, sulla forma partito, come si deve fare nei momenti difficili. Non individuando uno o tre “reggenti” per la gestione dell´appuntamento congressuale, ma bensì ipotizzando l’elezione immediata di un nuovo segretario.
Con le seguenti potenziali conseguenze distruttive: l’elezione del segretario non sarebbe più fatta dalla platea vasta del “popolo delle primarie” bensì dall´assemblea del congresso che, ovviamente, nel frattempo ha perso una parte dei suoi componenti iniziali e non ha più la sua rappresentanza; a questo primo fatto é seguito dall´ipotesi di cambiare lo statuto per differenziare la figura del candidato leader da quella del segretario non solo attraverso lo sdoppiamento e la separazione dei ruoli ma cambiandone la forma della legittimazione, uno eletto dal popolo e l´altro eletto dagli iscritti. Insomma un clamoroso arretramento rispetto alla democrazia diretta che il Pd aveva orgogliosamente introdotto e che era diventata addirittura elemento identitario della nostra politica. Cosa appare agli occhi dell´opinione pubblica e, ancor di più, dei nostri iscritti e simpatizzanti?
Che davanti alle difficoltà derivate dai nostri errori invece di aprirci al confronto e alla discussione ci chiudiamo e addirittura limitiamo la democrazia interna. Non rendersi conto degli ulteriori effetti negativi che tutto ciò potrebbe determinare é inquietante perché non ci sono spiegazioni razionali a questa sottovalutazione. Non resta che sperare in un recupero di consapevolezza e invece di discutere in un gruppo ristretto dei nomi di possibili segretari (per gestire quale politica non si sa), si imbocchi la strada più ragionevole della nomina di una od un garante, dell´anticipazione del congresso e dell´avvio di una discussione che coinvolga tutti, iscritti, elettori e simpatizzanti per riflettere sugli errori e cercare di rilanciare un partito di sinistra, riformista, collocato nella famiglia socialista europea. Per scongiurare il pericolo che “i merli vadano con i merli, i passeri con i passeri” e gli elettori con Grillo non basta esorcizzare il rischio, bisogna fare scelte nelle quali il coraggio ed il buon senso siano intrecciati.
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