Ordine Giornalisti, Cassazione dà ragione a Odg Sicilia: Pubblicista respinto, pagamenti in contanti non valgono

di Pier Luigi Franz
Pubblicato il 19 Ottobre 2017 - 09:36 OLTRE 6 MESI FA
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Ordine Giornalisti, Cassazione dà ragione a Odg Sicilia: Pubblicista respinto, pagamenti in contanti non valgono

ROMA – Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti ha definitivamente perso anche in Cassazione la sua battaglia contro l’Ordine dei Giornalisti della Sicilia che aveva bocciato una richiesta di iscrizione nell’elenco dei pubblicisti dell’albo dei giornalisti perché “non era stata provata la sussistenza del requisito concernente la regolare retribuzione”.

I supremi giudici hanno così confermato le precedenti decisioni del tribunale e della Corte d’appello di Palermo, dando la corretta interpretazione dell’art. 35 della legge n. 69 del 1963 istitutiva dell’Ordine dei giornalisti.

Cassazione 2^ Sezione Civile Sentenza n. 24345 del 16 ottobre 2017 (Presidente Vincenzo MAZZACANE, Relatore Raffaele SABATO)

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 5623/2016 R.G. proposto dal

CONSIGLIO NAZIONALE DELL’ORDINE DEI GIORNALISTI, P. IVA 06926900587, in persona def Presidente pro tempore, domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE, 14 presso L’avv. Gabriele Pafundi che lo rappresenta e difende unitamente all’avv. prof. Gianfranco Garancini e all’avv. Giacomo Garancini – ricorrente –

contro

L’ORDINE DEI GIORNALISTI DELLA SICILIA, P. IVA 80022320826, in persona del Presidente pro tempore, domiciliato in ROMA, VIALE PIAVE, 52 (presso avv. Renato Carcione) unitamente all’avv. Teresa Sciortino che lo rappresenta e difende – controricorrente –

nonché contro MARTANO ANNA, C.F. MRTNNA64D69F158L,

IL PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI PALERMO,

IL PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, – intimati –

avverso la sentenza della corte d’appello di Palermo n. 1153/2015 depositata il 20.7.2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18 luglio 2017 dal relatore cons. Raffaele Sabato;

udito per il ricorrente l’avvocato Gianfranco Garancini e per il controricorrente l’avv. Renato Carcione per delega dell’avv. Teresa Sciortino;

udito il p.m. in persona del sostituto procuratore generale dott. Alberto Celeste, il quale ha concluso per l’inammissibilità e in ubordine il rigetto del ricorso.

Fatti di causa 

1. La Procura generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Palermo a norma dell’art. 63 della I. n. 69 del 1963 e successive modificazioni ha proposto reclamo innanzi al tribunale di Palermo in ordine a deliberazione del consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti depositata il 19/12/2012 con cui, in riforma di provvedimento del consiglio regionale della Sicilia, era stata disposta l’iscrizione nell’elenco dei pubblicisti dell’albo dei giornalisti della signora Anna Martano.

Il tribunale con provvedimento depositato il 19 febbraio 2014 ha annullato la delibera.

2. Avverso la decisione del tribunale il consiglio nazionale ha proposto appello. La corte d’appello di Palermo con sentenza depositata il 20/07/2015 lo ha rigettato.

2.1. Nel verificare il ricorrere dei presupposti dell’art. 35 della legge n. 69 del 1963 che all’aspirante pubblicista che fa istanza di iscrizione all’elenco relativo richiede che egli produca i giornali e periodici contenenti suoi scritti e certificati dei direttori delle pubblicazioni «che comprovino l’attività pubblicistica regolarmente retribuita da almeno due anni», la corte d’appello ha in particolare affermato, avendo l’istante prodotto articoli apparsi sul giornale “Il cammino”, «che non sia stata provata la sussistenza del requisito concernente la regolare retribuzione».

2.2. Ha avuto presente la corte locale che erano state prodotte: a) certificazioni di avvenuto pagamento, sottoscritte dall’editore; b) quietanze di pagamento a firma dell’interessata, entrambe per l’anno 2010; c) un’attestazione di pagamento di ritenuta d’acconto effettuata, per entrambi i compensi, in un’unica soluzione, il 16/11/2010 (pp. 5 e 6 della sentenza).

2.3. In tale contesto, la corte ha ritenuto certo il solo pagamento della ritenuta d’acconto, non l’effettiva corresponsione dei compensi, in quanto documentati dalle sole certificazioni dell’editore, quest’ultimo avente «interesse a non sostenere esborsi» a fronte dell’emissioni delle certificazioni, e dalle quietanze dell’interessata stessa, parimenti interessata ad ottenere l’iscrizione pur senza effettivi pagamenti; tale assetto di interessi, secondo la corte, «impone una valutazione rigorosa delle prove documentali». Ha quindi ritenuto la corte, come affermato anche dal tribunale, non dimostrata la regolarità di una retribuzione asseritamente corrisposta in contanti, in date postume, in luogo che con modalità conformi alla già all’epoca vigente delibera dell’ordine regionale in tema di tracciabilità dei compensi; ciò alla luce anche della scarsa credibilità della giustificazione fornita in tema di pagamento in contanti dall’interessata, affermatasi desiderosa di celare ai colleghi di banca i compensi percepiti.

3. Avverso tale decisione ricorre il consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti con due motivi, nel contraddittorio degli intimati in epigrafe.
Replica l’ordine dei giornalisti della Sicilia con controricorso. Sia il consiglio nazionale sia l’ordine regionale depositano memoria.

Ragioni della decisione 

1. Col primo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2727 cod. civ., nonché 35 della legge 3 febbraio 1963, n. 69 (recante «ordinamento della professione di giornalista») . Il Consiglio ha indicato come del tutto carente il ragionamento presuntivo adottato dalla Corte territoriale, costituito da illazioni in mancanza di qualsiasi elemento che potesse far dubitare dell’effettiva corresponsione della retribuzione.

2. Col secondo motivo è dedotta, da altro punto di vista, diversa violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2727 cod. civ., nonché 35 della legge 3 febbraio 1963, n. 69 (recante «ordinamento della professione di giornalista»). Il consiglio ricorrente ha affermato che la corte d’appello non si sarebbe attenuta alla regola in tema di riparto della prova secondo la quale, ove la parte abbia prodotto documentazione che appaia regolare, grava sul giudice (sic) l’onere della prova contraria.

3. I due motivi, strettamente connessi e quindi esaminabili congiuntamente, sono infondati.

3.1. Non risulta alcuna violazione o falsa applicazione , né delle norme in materia di prova, né del criterio cui la legge àncora la valutazione delle istanze di iscrizione nell’elenco dei pubblicisti (trattasi del cennato art. 35 della legge 3 febbraio 1963, n. 69, recante «ordinamento della professione di giornalista», a mente del quale «Per l’iscrizione all’elenco dei pubblicisti la domanda dev’essere corredata, oltre che dai documenti di cui ai numeri 1), 2) e 4) del primo comma dell’art. 31, anche dai giornali e periodici contenenti scritti a firma del richiedente, e da certificati dei direttori delle pubblicazioni, che comprovino l’attività pubblicistica regolarmente retribuita da almeno due anni»).

3.2. Al riguardo, conviene richiamare che, in ordine al portato di tale ultima norma, questa corte (Cass. n. 352 del 14/01/2002) ha notato che essa, richiedendo che l’aspirante all’iscrizione nell’elenco dei pubblicisti documenti l’effettivo svolgimento di attività giornalistica «regolarmente retribuita da almeno due anni», tende a far accertare l’avvenuto svolgimento dello stesso tipo di „attività che il pubblicista sarà poi abilitato a svolgere professionalmente (anche se non in via esclusiva, come accade per i giornalisti professionisti). Si tratta della prova indiretta dell’acquisita professionalità, attestata oltre che dall’impegno dell’aspirante, anche dall’apprezzamento della sua opera da parte dell’editore (o degli editori), a sua volta dimostrato dalla regolare retribuzione da quello (o da quelli) corrisposta per l’attività svolta dall’aspirante. La legge fa ricorso, insomma, assumendolo come parametro di riferimento, al (fisiologico) dato di comune di esperienza secondo il quale chi viene regolarmente retribuito per almeno un biennio, per scritti che il quotidiano o il periodico pubblica, evidentemente offre un’utilitas che dimostra ad un tempo la convenienza dell’editore e l’apprezzamento dei lettori e, dunque, in definitiva, la sua capacità.

3.3. Nei confronti dell’aspirante pubblicista, che reclama il riconoscimento ex post della qualifica professionale già posseduta in via di fatto, la legge conferisce agli organismi dell’ordine in via amministrativa e, in via di reclamo, al giudice, esclusivamente il compito di effettuare una verifica in via formale, senza valutazione di merito sugli scritti e sull’idoneità dell’organo di stampa: trattasi di riscontrare obiettivamente che l’istante abbia continuativamente svolto per almeno due anni attività giornalistica e che questa sia stata regolarmente retribuita (v. Corte cost. n. 11 del 23/03/1968 e n. 420 del 18/07/1989). In tal senso, non sono vincolanti i criteri interni dell’Ordine dei giornalisti circa il numero minimo degli articoli da pubblicare e la congruità della retribuzione, mentre la certificazione dei direttori (che abbracci eventualmente anche la regolare retribuzione) e fa esibizione degli scritti sono elementi richiesti’ solo al fine di consentire che venga accertato che l’attività sia stata esercitata né occasionalmente né gratuitamente. Si applicano all’uopo le comuni regole probatorie.

3.4. L’art. 34 del d.p.r. 4 febbraio 1965, n. 115, recante regolamento di esecuzione della predetta legge in tema di ordinamento della professione di giornalista, sotto la rubrica «Modalità di iscrizione nell’elenco dei pubblicisti -documentazione», dispone poi che «Ai fini dell’iscrizione nell’elenco dei pubblicisti, la documentazione prevista diall’art. 35 della legge deve contenere elementi circa l’effettivo svolgimento dell’attività giornalistica nell’ultimo ‘biennio. […] Il consiglio regionale o interregionale può richiedere gli ulteriori elementi che riterrà opportuni in merito all’esercizio dell’attività giornalistica da parte degli interessati». In applicazione della complessiva disciplina, il consiglio nazionale ha adottato un documento di indirizzo per l’iscrizione all’elenco dei pubblicisti, approvato con decisione dei 14/05/2014, con cui ha invitato gli ordini territoriali a richiedere agli aspiranti pubblicisti, al fine di documentare l’effettività e la regolarità della retribuzione, «ricevute di pagamento e relativi giustificativi fiscali, separati almeno anno per anno. In difetto, dovranno essere fornite lettere di messa in mora, munite di data certa, circa i mancati pagamenti per l’attività giornalistica posta in essere». In tal senso, il consiglio nazionale rigetta istanze fondate su «versamenti effettuati al termine del biennio prima della presentazione della domanda» ed afferma che «l’aspirante pubblicista non può dimostrare l’avvenuto pagamento di somme a suo favore con dichiarazioni scritte unilaterali, prive di valore probatorio» (v. CN 26/03/2015 n. 25 – Pres. Iacopino, rel. Di Sivestre, ric. Brescia).

3.5. A fronte del chiaro disposto dell’art. 35 che, pur apparentemente legittimando la produzione di meri certificati dei direttori delle pubblicazioni, oltre a esemplari delle stesse, richiede testualmente in effetti – a ben vedere – anche la prova di un’attività «regolarmente retribuita», questa Corte ritiene doversi far applicazione delle ordinarie regole probatorie affinché detto requisito emerga. In tal senso – pur non essendo vincolanti – i criteri ordinistici secondo i quali non è sufficiente, al fine di dimostrare l’attività biennale «regolarmente retribuita», la mera produzione di scritti pubblicati e certificazioni degli editori, essendo necessario altresì il riscontro della “regolarità” – appunto – dei compensi ai sensi di legge, sono peraltro condivisibili; a essi, del resto, sono conformi le decisioni dei giudici di merito che, avvedutisi della carenza del requisito dell’annualità dei compensi, in quanto corrisposti apparentemente a ridosso dell’istanza di iscrizione (tutti i compensi appaiono corrisposti nel 2010, e nel 2010 è effettuata ritenuta d’acconto per il biennio), nonché della loro non tracciabilità alla luce della dichiarata corresponsione in contanti, in assenza di dichiarazioni fiscali diverse dalla certificazione dl versamento di ritenuta d’acconto, hanno ritenuto indimostrato il detto requisito della “regolarità” della retribuzione e, quindi, plausibile la simulazione, in tutto o in parte, del pagamento.

3.6. Siccome strettamente correlata all’applicazione di detto presupposto ai fini della verifica, ricostruito in base a corretta interpretazione della norma, la sentenza impugnata sfugge alle censure di violazione dell’art. 35 cit. 4.
3.7. Parimenti risultano rispettate le regole civilistiche sul riparto dell’onere probatorio, trattandosi della mancanza di prova che era onere dell’interessata fornire. Quanto alla ‘presunta violazione delle regole sul ragionamento presuntivo, la relativa critica non coglie nel segno, non ravvisandosi nella sentenza impugnata alcun ragionamento probatorio fondato su presunzioni, quanto piuttosto la negazione che si fosse raggiunta una prova, anche presuntiva, dell’avyenuto pagamento.

4. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
Considerato inoltre che il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è stato rigettato, sussistono le condizioni per dare atto — ai sensi dell’art. 1, comma 17, della I. 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 17quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a . quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M. 

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alla rifusione in favore della parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 200 per esborsi ed euro 2.500 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e oltre accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a 8 Corte di Cassazione – copia non ufficiale quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile, il 18 luglio 2017.