PRI: la sinistra senza marxismo. Che c’entra Berlusconi?

di Giancarlo Tartaglia
Pubblicato il 22 Maggio 2015 - 07:24| Aggiornato il 23 Settembre 2015 OLTRE 6 MESI FA
PRI: la sinistra senza marxismo. Che c'entra Berlusconi? Niente!

Ugo La Malfa

ROMA – Sul Corriere della Sera di mercoledì 20 maggio Sergio Romano nel suo commento (Peripezie di un nome. Dove sono i Repubblicani) ad una lettera inviatagli da Aurelio Ciccocioppo, Segretario del PRI di Varese, a proposito del tentativo estetico di Silvio Berlusconi di cambiare volto al suo soggetto politico ormai agonizzante, ribattezzandolo Partito Repubblicano, ha dato merito della lunga storia del PRI, ricordandone in particolare il periodo della guida di Ugo La Malfa, ma ha voluto riconoscere a Silvio Berlusconi di essere il mago del marketing che ha liquidato le vecchie logore denominazioni dei partiti, aprendo la strada a brands ottimistici, come “Forza Italia”, “Casa della libertà”, “Italia dei Valori”, “L’Ulivo”, “La Margherita” ecc..

La storia del Partito Repubblicano Italiano è indubbiamente una lunga storia, che affonda le sue radici nel Risorgimento e nel programma mazziniano che si identificava nei tre obiettivi: indipendenza, unità, repubblica. E’ anche la storia di una minoranza che, come ricorda lo stesso Romano, citando il premier britannico John Major, “faceva a pugni al di sopra del suo peso”. A conclusione del Risorgimento, che garantì l’indipendenza e l’unità, il PRI, nella successiva storia dell’Italia monarchica, dopo essere stato per molti anni una forza extraparlamentare, si è collocato all’estrema sinistra del Parlamento ponendosi alla testa di tutte le battaglie per la crescita civile del Paese, l’allargamento dei diritti dei cittadini, delle libertà individuali e di associazione. Con la lotta al fascismo, sin dai suoi primi esordi, e con la partecipazione in esilio e nella clandestinità all’antifascismo e alla resistenza ha contribuito a scrivere pagine gloriose e indimenticabili nella storia dell’Italia.

Come ha ricordato lo stesso Romano, “a differenza di altri partiti il PRI può vantarsi di aver realizzato il suo principale obiettivo storico”. Ma la storia del PRI non si è fermata con la proclamazione della Repubblica. Era evidente che con il cambio dell’assetto istituzionale il Partito Repubblicano sarebbe diventato il partito, per eccellenza, della difesa istituzionale. In questo ruolo ha operato in tutti gli anni, che oggi sono etichettati come prima Repubblica, per rafforzare e ampliare sempre di più la vita democratica del Paese in equilibrio con la sua crescita economica, spesso in polemica con le altre forze della sinistra italiana che si richiamavano agli stereotipi ideologici del marxismo.

Romano si è limitato a citare Ugo La Malfa, ma il PRI è stato anche il partito di personalità significative, come Ferruccio Parri, Oronzo Reale, Francesco Compagna, Giovanni Spadolini, Bruno Visentini, per citarne soltanto alcune. Sulla storia della presenza del PRI negli anni della Repubblica si possono leggere centinaia di pagine. Una storia che si può riassumere nel titolo di una relazione di Ugo La Malfa “Ideologia e politica di una forza di sinistra”. Ebbene, cosa ha a che fare la vicenda personale e politica di Silvio Berlusconi con il Partito Repubblicano Italiano? Assolutamente nulla.

Certo, come ricorda Romano, a Berlusconi non interessa il Partito Repubblicano Italiano, gli interessa soltanto la sigla Partito Repubblicano, con un chiaro riferimento al partito dei conservatori americano, da contrapporre “in un Paese dove la terminologia anglo-americana sta soppiantando quella italiana” al Partito Democratico di Renzi.

Sta di fatto che il Partito Repubblicano Italiano, oltre ad avere una storia, ha anche una continuità ed una presenza politica e giuridica, che impediscono a Silvio Berlusconi di impossessarsene. Ciò detto, però, è opportuno soffermarsi su un’altra valutazione di Romano, quando afferma di dubitare che il PRI possa sopravvivere “con il ruolo politico dei suoi momenti migliori” al triplice terremoto della fine della Guerra Fredda, della morte delle vecchie ideologie e della stagione giudiziaria di Mani Pulite.

Il quesito, dunque, al di là delle fantasie berlusconiane, è questo: se vi sia nell’attuale quadro politico spazio per la presenza del Partito Repubblicano. In questi pessimi anni di seconda Repubblica, politici di seconda fila (spesso di terza) venuti alla ribalta grazie alla desertificazione compiuta dai magistrati e suffragati dal sostegno di improvvisati politologi e costituzionalisti, divenuti firme illustri dei maggiori quotidiani di opinione, hanno voluto smerciare l’idea che il buon governo si possa raggiungere soltanto attraverso il bipolarismo e, anche meglio, con il bipartitismo.

A questa nuova ideologia dominante (assente in tutti i Paesi europei e oggi anche in Inghilterra) si è voluta costringere la multiforme realtà politica italiana. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Il ventennio della seconda Repubblica può considerarsi serenamente un vero disastro se paragonato ai risultati della prima Repubblica. Ma, questo fallimento anziché convincerli di aver imboccato una strada sbagliata ha indotto a ritenere che si dovesse ulteriormente procedere, in nome della chimera della governabilità, ad infierire sulla Costituzione e a modificare la correttezza della rappresentanza parlamentare. Non dobbiamo nasconderci che l’Italicum e le modifiche alla Costituzione sono il frutto del Patto del Nazareno tra Berlusconi e Renzi.

Si rifletta un attimo su questo aspetto. Con la nuova legge elettorale il Governo sarà affidato ad un partito che ha avuto il consenso elettorale di una minoranza di cittadini. Nella prima Repubblica i governi di coalizione erano sempre l’espressione della maggioranza dei cittadini. Non mi sembra una differenza da poco se il problema è quello della governabilità.

In questo quadro è pensabile, è possibile, la presenza politica del Partito Repubblicano?

Intanto una risposta al dubbio di Romano se il PRI possa sopravvivere alla morte delle vecchie ideologie. Come è noto questo tema è stato oggetto nel corso degli anni ’60 e successivi di un duro confronto a sinistra proprio tra il Partito Repubblicano e il Partito Comunista, laddove il PRI, richiamandosi ai valori di libertà e democrazia dell’occidente, polemizzava con un Partito Comunista ancorato alla mitologia del marxismo, alla lotta di classe, alla guida suprema dell’URSS. Contro quel tipo di ideologia il PRI è, quindi, vaccinato da anni.

Ma, se oggi nella sinistra italiana è stata sepolta ogni traccia di marxismo è anche vero che questa sinistra smarrita sembra aver perso punti di orientamento e non abbia più una bussola per orizzontarsi, rischiando di perdersi in una deriva cesarista o bonapartista. E allora forse proprio per questo, il PRI può continuare a “fare a pugni al di sopra del suo peso” rappresentando nell’ambito della sinistra, oggi più di ieri, l’ancoraggio a quello “spirito repubblicano”, che deve restare il fondamento della Repubblica se la si vuole salvaguardare da illusioni o avventure autoritarie.