Banda del Libor, rogne del Nord. Le banche della City perdono la faccia

di Riccardo Galli
Pubblicato il 6 Luglio 2012 - 15:19 OLTRE 6 MESI FA

barclaysROMA – Non è affatto consolante ma per una volta l’Europa del Sud, quella col debito, quella con le economie in crisi, quella bisognosa d’aiuto può guardare dall’alto in basso quel Nord che sempre l’ha bacchettata. Lo scandalo Libor, la storia della Barclays, del suo ceo Bob Diamond e degli altri istituti di credito che hanno artefatto il tasso a cui le banche si prestano i soldi a loro vantaggio e a svantaggio di tutti i cittadini, insegnano e dimostrano che anche il Nord ha e sue “rogne”. Per niente consolante e affatto una buona notizia, visto che le “furbizie” delle banche britanniche sono costate anche a noi italiani, come agli spagnoli, ai greci e ai portoghesi, ma cogliere con le mani nel sacco chi ci ha sempre dato lezioni d’economia è innegabile che porti in dote una piacevole sensazione.

“Nella patria di Adam Smith – scrive Massimo Mucchetti sul Corriere della Sera – il filosofo dell’economia di mercato (non necessariamente del capitalismo, preciserebbe Amartya Sen), si è costituito un cartello che manipola uno dei prezzi più importanti e delicati del sistema economico, il Libor. Questo cartello è transnazionale. Lo compongono le banche americane JP Morgan Chase e Citigroup, le svizzere Ubs e Credit Suisse, la tedesca Deutsche Bank, le britanniche Barclays (ora al centro delle indagini), Hsbc e Royal Bank of Scotland, le nipponiche Bank of Tokyo-Mitsubishi e Sumitomo-Mitsui, l’olandese Rabobank, la francese Société Générale. Ma a operare sono le sedi di Londra: potentati con migliaia di persone, molte delle quali pagate profumatamente. I cartelli non li formano dipendenti infedeli. Sono i boss che si siedono attorno al tavolo. Questo cartello in particolare ha prosperato perché la City (si legga al proposito Le isole del tesoro di Nicholas Shaxson, tradotto in Italia da Feltrinelli) è uno Stato nello Stato, senza costituzione ma con seggio alla Camera dei Comuni, retto dalle consuetudini della sua oligarchia, che elegge il sindaco con il voto delle banche prevalente su quello dei cittadini. Un cartello è un’associazione occulta che persegue nel tempo obiettivi di comune interesse per i soci. Nel caso specifico, la manipolazione del Libor, che in Italia comporterebbe l’accusa di aggiotaggio. Ergo, l’inchiesta colloca i signori della Barclays al centro di un’associazione per delinquere. La responsabilità è sempre personale, ma nei Paesi civili a rispondere sono anche le aziende nell’interesse delle quali il reato viene commesso”.

Un’associazione per delinquere la definisce Mucchetti, e con un pizzico di fantasia in più la si potrebbe definire come “la banda del Libor”, con il cattivo dei cattivi, impersonato da Bob Diamond, che fa impallidire il personaggio interpretato da Michael Douglas in Wall Street, con la realtà che, come spesso accade, supera la finzione cinematografica. Diamond è divenuto la personificazione della faccia cattiva della finanza. “E’ americano” provano a ricordare gli inglesi, ma che sia nato negli Usa non cambia nulla, Diamond è il cattivo, ma l’impero del male è la City, sono le banche, al di la e al di qua dell’oceano.

“Che senso ha farci fare la morale anticorporativa dal Regno Unito – continua Mucchetti – e accettare, come ha fatto l’Unione Europea, di allentare la vigilanza sui passaggi di partecipazioni bancarie in nome della libera circolazione dei capitali, quando la City, fonte dell’ispirazione, è un cartello che, per far guadagnare gli eletti, trucca la finanza globale e fa perdere tutti gli altri? Italia e Spagna devono fare i compiti a casa, decisi dalla Ue. Bene. Quali compiti Roma e Madrid chiederanno al governo inglese? Chiuderla con una multa di 290 milioni di sterline (a beneficio del Tesoro di Sua Maestà) sarebbe una beffa”.

Una misera multa è in effetti una beffa, non serve una vendetta o una rivincita del sud contro il nord per pareggiare i conti, ma servono delle misure, delle riforme, dei cambiamenti che raddrizzino questo sistema che evidentemente è sbagliato. E non è sbagliato perché Diamond e i suoi colleghi intascano decine di milioni di euro sotto forma di bonus anche quando le aziende da loro controllate vanno malino se non malissimo. E’ sbagliato perché non è possibile che siano le banche a fissare il tasso a cui si prestano i soldi, il Libor appunto, è evidente che la tentazione di barare in questo caso è irresistibile. L’occasione fa l’uomo ladro, non bisogna quindi fornire l’occasione anche perché, in questo caso il furto è commesso ai danni dei piccoli risparmiatori, e diventa ancor più odioso e detestabile quando perpetrato in tempi di crisi economica e finanziaria.

La crisi che viviamo, cominciata negli Stati Uniti, passata per l’Europa e che ora sta raggiungendo le nuove economie, come ha segnalato la direttrice dell’Fmi Christine Lagarde, insegna una cosa su tutte: il sistema finanziario dominato dalle grandi banche non può essere privo di regole. Al contrario, deve essere rigidamente regolamentato ma, come scrive John Lloyd su Repubblica, “non bastano regole più rigide, bisogna ripristinare la fiducia”. E per far questo l’allontanamento di quello che è stato definito “il volto impresentabile del capitalismo”, cioè Bob Diamond, non è sufficiente.