Europa a Italia: zero strategia, piani scarsi. 41,5 miliardi di fondi a rischio

Europa a Italia: zero strategia, piani scarsi. 40,5 miliardi di fondi a rischio
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ROMA – Italia dietro la lavagna dell’Europa. In una lettera di 37 pagine, 249 martellanti punti in cui analizza il documento base dell’Italia per l’Italia sull’impiego dei fondi dell’Europa, la Commissione europea ha messo sotto accusa la burocrazia italiana sulla sua capacità di spendere e spendere bene il fiume di denaro dell’Europa.

L’Italia così rischia di perdere 41,5 miliardi di euro di fondi europei che in sette anni, dal 2014 al 2020, devono, o sarebbero dovuti, arrivare per contribuire allo sviluppo di progetti in campi come ricerca, innovazione, agenda digitale, competitività, sviluppo tecnologico, cultura. La lettera della Ue risale a un mese fa ma è rimasta nascosta. Ne dà notizia su Repubblica Valentina Conte, che sintetizza così:

“L’Italia non ha una strategia”.

La lettera è uno sfogo di malumore da tempo covato a Bruxelles, non c’è niente che sembra andare bene.

D’accordo che il Governo accentri, “per meglio fluidificare”, la gestione dei fondi europei e che rafforzi gli interventi gestiti dalle amministrazioni centrali ma non basta. La Commissione europea

“sospende le sue considerazioni in attesa di una valutazione approfondita degli obiettivi su:

– legalità,

– aree metropolitane

– cultura”.

L’attuazione del programma nazionale sulle Città metropolitane

“appare a rischio, in considerazione della architettura complessa e dei rischi di sovrapposizione con programmi regionali. Insomma troppa confusione, tra piani nazionali per città metropolitane che ancora non esistono e piani regionali per città non metropolitane, spesso assai piccole (5 mila comuni italiani su 8 mila hanno meno di 5 mila abitanti)”.

In molti casi, osserva la Commissione,

“non ci sono proprio le premesse per spendere. Sono «solo parzialmente soddisfatte», tra le altre, le condizionalità in materia di «agenda digitale, gestione delle acque, trasporti, politiche del lavoro, abbandono scolastico, sistemi di controllo sugli aiuti di Stato». Per questo chiede al governo italiano di «fornire un cronoprogramma plausibile per l’adozione dei vari provvedimenti». E «si riserva di valutare l’effettivo soddisfacimento delle condizionalità quando tutte le informazioni saranno disponibili». Infine un richiamo pure sul «gran numero» dei soggetti chiamati ad attuare questo Accordo di partenariato. Può anche andar bene, ma Bruxelles vorrebbe che fossero esplicitati «i criteri per la selezione dei partner ». Anche qui troppa superficialità”.

Per accedere ai fondi e presentare all’Europa i singoli piani per il finanziamento, ciascun Paese europeo deve presentare un Accordo di partnenariato cosa che l’Italia ha fatto il 22 aprile. La Commissione europea ha respinto la bozza italiana di Accordo che, avverte Valentina Conte, è

“indispensabile per sbloccare i singoli programmi, nazionali e regionali”.

Il rischio, tra lettere e repliche, è che ancora una volta l’Italia parta in ritardo sui fondi strutturali. Ma a Bruxelles sono molto duri. L’Italia non ha

“un piano e una strategia chiari ed efficaci, l’Italia ha gravi problemi di governance. La sua pubblica amministrazione non è efficiente e ben funzionante. E quando il motore è inceppato, non si può sperare che la linfa europea contribuisca a rivitalizzare il paese. Anzi i fondi rischiano di imboccare di nuovo la via, biasimata, degli incentivi a pioggia”.

La Commissione europea, nella sua lettera reprimenda,

“analizza passaggio per passaggio tutto il piano italiano. E chiede ancora una volta al governo, come aveva raccomandato già in marzo, di rispondere sulla sua «capacità amministrativa ». Se sia cioè migliorata e come, non tanto l’abilità e l’organizzazione tecnica nel gestire i programmi operativi, quanto il quadro complessivo, la cornice in cui si muove questo fiume di denaro: la pubblica amministrazione. Per Bruxelles l’Italia confonde tra «assistenza tecnica » e «capacità istituzionale»”.

Per avere “capacità istituzionale” servono

“ampie e orizzontali riforme» della p.a. e buone iniziative di governance”,

deve essere chiarito

“il ruolo delle diverse istituzioni , definendo chi fa cosa, quando e come”

mentre ora, a giudizio dell’Europa,

“centro e periferia (assai parcellizzata) faticano a coordinarsi. Con i magri risultati di questi anni: soldi spesi tardi, male, in qualche caso persi in mille rivoli o restituiti al mittente”.

Non ci sono strategie convincenti, il Governo non ha fatto nulla, sia a livello nazionale sia regionale

“in tutti gli ambiti che contano per il rilancio”.

Ecco un disperante elenco:

“Agenda digitale: «Manca una vera strategia».

“Innovazione: «Calo significativo dei fondi», ma «ciò non deve comportare un calo delle risorse per la ricerca industriale nel settore privato».

“Aziende: «Identificazione ancora insufficiente degli interventi strutturali necessari per riguadagnare competitività», «regimi di aiuto “generalisti” orizzontali andrebbero evitati» e sostituiti da «un sostegno mirato alle imprese legato allo sviluppo tecnologico ».

“Istruzione: «Le percentuali di risorse destinate all’abbandono scolastico per le regioni meno sviluppare (12%) e di partecipazio- ne all’istruzione superiore (2%) sembrano basse rispetto alla portata dei problemi in queste aree».

“Cultura: «Assenza di un progetto strategico e di cenni alle lezioni apprese dal periodo di programmazione 2007-2013». E cioè il disastro Pompei (fondi ancora non spesi pari a 105 milioni, rimessi da poco in pista) e 15 milioni restituiti”.

Nel campo della cultura, regno delle sovvenzioni agli amici e supporter del partitoterritorio di caccia per tutti i politici affamati fino al più piccolo Comune, dove entra di tutto, dalle grandi mostre alle sagre paesano, lo schiaffo è secco. La Commissione bolla di “basso valore aggiunto” gli eventi culturali e turistici per cui è stato chiesto finanziamento europeo.

Occorrono

“solo interventi strutturali e che possono avere un impatto strutturale”

che Valentina Conte traduce così:

“Meno sagre e più patrimonio culturale da curare, restaurare, far fruttare”.

 

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