Attaccare l’avversario politico dandogli del “Compagno di merende” è lecito. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione assolvendo dall’accusa di diffamazione a mezzo stampa l’ex presidente della Provincia di Messina, Giovanni Mauro.
Mauro, dopo aver subito una ingiusta detenzione con l’accusa di associazione per delinquere e corruzione, si era sfogato in una conferenza stampa, l’11 ottobre 1998, sostenendo di essere stato vittima di un complotto, ordito ai suoi danni dalle sinistre, e in particolare da Rosario Cintolo, candidato per la presidenza della Provincia per l’Ulivo, da Biagio Spadaro, ex consigliere provinciale e collaboratore di giustizia i quali, a suo dire avevano costruito «una montagna di accuse che lo avevano portato in carcere».
L’ex presidente della Provincia era stato querelato per diffamazione e il Tribunale di Messina, nel luglio 2002, lo aveva condannato a 400 euro di multa, oltre al risarcimento dei danni subiti dalla parte civile. Giovanni Mauro era stato invece assolto dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria nel novembre 2008.
Contro l’assoluzione ha fatto ricorso in Cassazione l’ex consigliere provinciale Biagio Spadaro sostenendo che l’espressione “compagni di merenda” era diffamatoria e «lesiva dell’altrui reputazione». La Cassazione, però, ha respinto il ricorso e ha osservato che «la circostanza che, durante la conferenza stampa, unitamente alla esposizione della tesi del complotto il Mauro avesse aggiunto delle espressioni pesanti nei confronti dei suoi accusatori non appare idonea al superamento del limite della continenza poichè il diritto di critica presenta una sua necessaria elasticità e non è necessariamente escluso dall’uso di un epiteto infamante, dovendo la valutazione del giudice di merito soppesare se il ricorso ad aggettivi o frasi particolarmente aspri sia o meno funzionale alla eventuale assoluta gravità oggettiva della situazione rappresentata».
Nel caso in questione l’ex presidente della Provincia, registra ancora la Cassazione, «era stato appena scarcerato dopo avere subito un periodo di ingiusta detenzione e si trovava quindi in uno stato di agitazione e giustificava quelle espressioni sicuramente pesanti ma che non costituivano attacchi personali o gratuiti alla sfera morale dei soggetti. L’espressione ‘compagni di merenda’ era infatti “funzionale ad illustrare la tesi del complotto che presupponeva più soggetti intenti ad attività illecite contro l’avversario politico».
Per la Cassazione, le espressioni “Compagni di merende” e “brigata”, pur essendo “pesanti”, quindi, possono rientrare nel «legittimo diritto di critica».
L’espressione “compagni di merende” è diventata famosa dopo i delitti del mostro di Firenze, perchè usata durante il processo a Piero Pacciani da Mario Vanni, uno degli uomini condannati per l’esecuzione materiale degli omicidi.