Cibo buono guastato da prezzi da rapina: chiusa Piazza Italia a Pechino

Aperto appena un anno fa ora è pieno di debiti Dicono i cinesi: “Generi da supermercato, pur ottimi, a prezzi da boutique” Così all’estero ci siamo fatti conoscere, e riconoscere

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Ci siamo fatti riconoscere, anche a Pechino. Che facevamo? Quello che facciamo di solito pensando di essere i più scaltri del pianeta: «Facevate pagare generi da supermercato, pur ottimi, a prezzi di boutique». La frase, il giudizio e la sintesi sono dei cinesi con i soldi. Con i soldi per comprare il cibo “made in Italy”, con i soldi ma mica fessi come invece noi italiani pensiamo debbano essere tutti gli stranieri con i soldi.

Mica fessi loro e, trattati così da noi furbissimi  italiani, i cinesi con i soldi non comprano più. E il più grande centro di prodotti alimentari italiani di qualità a Pechino chiude, ufficialmente e pudicamente “per ristrutturazione”. In realtà chiude per eccesso di furbizia. La storia la racconta il China Daily. È la storia di “Piazza Italia”, un centro commerciale aperto poco più di un anno fa al centro di Pechino.

Ci si erano messo in tanti: Grana Padano, Consorzio del prosciutto di San Daniele, Cavit vini, Crai, Conserve Italia, Frantoi Artigiani, Boscolo Etoile, Gruppo Cormorano… Berlusconi lo aveva visitato e benedetto il 25 ottobre 2008, il ministero dello Sviluppo economico era dentro con il 39% della società di gestione del punto vendita. Un grande palazzo a tre piani che ora espone, anzi nasconde, un vasto campionario di debiti. Da luglio non vengono più pagati affitto, merci e stipendi. I commessi cinesi vogliono i soldi, i fornitori italiani aspettano i pagamenti.

È quel che resta dopo le grandi fanfare: investimenti promessi per nove milioni di euro, fatturato promesso 40 milioni di euro, altri negozi a Shangai e in altri due città cinesi. Restano un sel service vuoto, un ristorante chiuso, una cantina deserta. Resta, scrive il giornale cinese «La brutta figura italiana». Ci siamo fatti conoscere, e riconoscere.

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