Dopo crisi, disoccupazione ed escort mezza Italia pronta a rivotare Berlusconi

Pubblicato il 3 Dicembre 2009 - 14:33 OLTRE 6 MESI FA

Fine Novembre 2009, dalle ultime elezioni è passato un anno e mezzo. Diciotto mesi di crisi economica, di disoccupazione in crescita e redditi in calo, di escort a Palazzo e di “scudi” legali per il premier e fiscali per gli evasori. Dopo tutto questo dove sta nelle intenzioni di voto il Pdl di Berlusconi? Al 38 per cento, due punti in più di quanto ha raccolto nelle elezioni europee dell’estate. E dove lo prende questo 38 per cento? Soprattutto nel centro-sud: 48 per cento. E nel sud e nelle isole: 44 per cento. Il Pdl avanza ma non toglie voti alla Lega che resta poco sopra il 10 per cento, dov’era prima. Al Nord Pdl e Lega quasi si equivalgono con il 25 per cento ciascuno delle intenzioni di voto.

Geograficamente dunque il Pdl si “meridionalizza”, socialmente qual è la sua composizione? Giovani (40 per cento), operai (36 per cento), lavoratori autonomi (60 per cento). Chi cerca un lavoro e chi rischia di perderlo guarda in maggioranza al centro destra (il 13 per cento degli operai è pronto a votare Lega). Chi teme le tasse per la sua bottega o il suo studio professionale lo fa ancor di più. Nonostante o anzi proprio per come “legge” quel che è successo nell’ultimo anno e mezzo. Se un calo c’è, è nella fiducia al governo, calata al 53 per cento. Non ci si fida più tanto del governo ma si è pronti a rivotare i partiti di governo.

Il perchè lo spiega un’altra cifra: 24 per cento. E’ la percentuale di coloro che hanno fiducia in un governo alternativo. Percentuale molto più bassa delle intenzioni di voto per i partiti di opposizione. Pronto a votare Pd è il 30,5 per cento, 4,4 punti in più delle europee. E il 7,4 per cento (0,6 per cento in meno) è pronto a votare Di Pietro. Un altro 2,2 per cento ha intenzione di votare liste di estrema sinistra. Fa, più o meno, 40 per cento. Ma solo il 24 per cento, come si è visto, crede che questa “somma” politica ed elettorale possa valere un altro governo di cui fidarsi. L’opposizione c’è nel paese, complessivamente non perde voti ma non si fida di se stessa. Al suo interno il Pd guadagna a scapito delle altre liste e partiti di opposizione. Le intenzioni di voto per Rifondazione comunista e Comunisti italiani calano dell’1,2 per cento, dell’1,7 quelle per i radicali, dello 0,7 come si è visto quelle per l’Idv.

In mezzo l’Udc di Casini: intenzioni di voto 6 per cento, mezzo punto in meno delle europee.

Cosa dicono questi numeri, i numeri dell’ultimo sondaggio pubblicato dal Sole 24ore e relativi ad un’indagine del 27 novembre? Dicono che i grandi aggregati elettorali non mutano: 50 per cento degli italiani con Berlusconi e Bossi, 40 per cento con Bersani e Di Pietro, 6 per cento con Casini, il resto spiccioli. Come prima, più di prima dei diciotto mesi del “di tutto di più”. Dicono che il grande problema dell’opposizione è sì nei numeri ma soprattutto nella credibilità, ancora non assorbito e dimenticato è lo choc del fallimento dell’Unione. Dicono che il Pdl ingrassa al Sud fino a correre paradossalmente i rischi di una sorta di “obesità elettorale”. Troppi interessi da difendere, se si vuole, troppe clientele per le casse pubbliche di una sola nazione. E dicono che al Nord il Pdl è governo solo se sta con la Lega. Dicono ancora che i ceti e le categorie economicamente deboli guardano a destra. In maniera ancora più massiccia quando la debolezza economica diventa paura del futuro e si accompagna e “debolezza culturale”, cioè scarsa scolarità.

Dicono infine, anche se indirettamente, che l’ansia e la preoccupazione del premier non possono essere di natura elettorale ma solo giudiziaria. La sua ossessione e il suo timore riguardano il passato, un passato che non vuole sia portato in un’aula giudiziaria. E dicono che l’elettorato non si pone la domanda del perchè con tanto potere e consenso il governo governi così poco. Altra domanda senza risposta, non c’era nel questionario: l’elettorato è disposto a concedere a Berlusconi ancora più potere? Si intravede un No, ma certamente un No più piccolo di quello opposto all’idea che a governare siano quelli che oggi sono all’opposizione.