Il gioco dei tre voti, destra somma, sinistra sottrae

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 7 Gennaio 2010 - 17:55| Aggiornato il 21 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Walter Veltroni

Il gioco dei tre voti, la destra somma, la sinistra sottrae. Ogni volta che si vota i voti infatti sono tre. Il primo è quello che più o meno tutto l’elettorato di destra esprime per il suo schieramento e spesso in ostilità e paura verso la indistinta “sinistra”. Il secondo è quello che l’elettorato di sinistra esprime per il suo (sovente “i suoi”) schieramenti e spesso a “difesa e resistenza” contro la destra berlusconiana. Il terzo è quello che l’elettorato di sinistra non esprime oppure lancia contro se stesso, contro la parte ritenuta “molle” oppure “irresponsabile” della sinistra stessa. E’ un gioco di cui la sinistra non si stanca mai, anzi ci si appasiona sempre di più, come le signore al “Burraco”.

Qual è per un democratico e di sinistra lo strumento più vero e degno per avvicinarsi alle elezioni? Le primarie! Qual è il meccanismo politico e sociale per vincerle o perderle le elezioni, qualunque elezione? Fare o non fare il pieno alle urne dei propri voti potenziali. Chi fa il pieno dei “suoi” vince o almeno gareggia.

Chi non lo fa, perde e gioca a perdere. Dal momento che il reale non sarà proprio “razionale” ma di certo è complesso e complicato, lo strumento delle primarie e il meccanismo per vincere le elezioni talvolta coincidono o almeno collaborano, altre volte litigano tra loro.

Un caso non a caso: la Puglia. Se si fanno le primarie tra base e militanti del Pd, di Sinistra Ecologia e Libertà, Rifondazione ed altro a sinistra, è possibile, anzi è facile che le primarie le vinca un candidato, Nichi Vendola. Stabilita la “platea” dei partecipanti alle primarie, si stabilisce anche in buona misura il vincitore.

Poi cambia la “platea” e alle elezioni cui partecipano  tutti i cittadini l’eletto dalla primarie può agevolmente perdere. Allargare allora la “platea” delle primarie, farle diventare primarie di coalizione? Bello, ma se Udc e Idv le primarie non le vogliono fare, li si obbliga?

Opzione numero due: il “candidato che viene dal basso”, magari da un blog che fa anche un po’ trendy. Capita nel Lazio dove dal blog si candida l’economista Loretta Napoleoni con discreto successo di critica (Adriano Sofri) se non di pubblico. Nessuno però chiarisce mai qual è questo “basso”, nessuno sa mai dire altro di questo “basso” se non che è buono perchè non è “alto”.

Sia le primarie che il fiorire delle candidature dal basso esaltano e moltiplicano il fenomeno del “terzo voto”, quello della sinistra contro se stessa. Avviene per insipienza dei dirigenti, mirabile è la vignetta di Elle Kappa su “Repubblica” dove si legge: “Il Pd tenta di vincere le Regionali senza presentare nessun candidato”. Ma l’insipienza  non spiega tutto, spesso è effetto piuttosto che causa. Avviene perchè l’elettorato di sinistra è trino e non riesce, anzi non può essere uno.

In nome di valori semplici quanto generici l’elettorato di destra si somma: avversione allo Stato, fastidio per le regole, paura del diverso, avversione alla modernità, difesa della “roba”, fascino del capo, vertigine e illusione del successo, difesa gelosa dalla libertà dell’individuo. E anche razzismo, ignoranza, clientela. E anche onesta difesa delle tradizioni e dei patrimoni. Tutto si somma a destra anche se non si amalgama.

A sinistra no. mercato, pace, profitto, merito e tante altre sono parole e valori che a sinistra, dentro la sinistra, hanno significati diversi e opposti. E’ dalla “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto passando per “L’Unione” di Prodi che la sinistra cerca di sommare quel che sommare non si può perchè l’uno è il contrario dell’altro.

Visto che sommare alla base, nella società, è impossibile, Bersani e D’Alema che non sono ciechi provano a sommare “alleanze”. Cioè Casini, Di Pietro e pure Vendola e pure chi altri ci sta…Con l’argomento che, se non ci stanno, allora si perde. Non funziona, così come non funziona alla base.

In fondo l’errore è lo stesso anche se si esercita su sponde opposte del fiume. Non puoi “sommare alla base” chi tifa “arabo” perché “arabo è meglio di americano”, chi rivuole la scala mobile, chi vuole “tutti in galera”, chi considera ogni autostrada uno sfregio all’umanità con chi vuole efficienza, produttività, istruzione competitiva, welfare. Non si può, nemmeno se si vuole.

Nemmeno se lo chiede la “gente” della sinistra. In questo caso, come in tanti altri casi, è la gente che mente a se stessa. E non puoi neanche sommare insieme Casini, Di Pietro, Vendola e via aggiungendo. O meglio, talvolta, in rari casi si può. Ma mai dura lo spazio di un governo come la doppia esperienza di Prodi insegna.

Si poteva provare a fare altra cosa: non sommare ma provare a moltiplicare. Partire da un partito elastico ma non onnicomprensivo in cui tutti quelli che ci stanno e lo votano vogliono più o meno le stesse cose o almeno non cose opposte tra loro. Era questa, nell’accezione migliore, la “autosufficienza” del Pd di Veltroni.

Non ci hanno mai provato davvero o comunque, se ci hanno provato, tutti, dirigenti, militanti e popolo del Pd si sono spaventati della sola idea. La cultura elettorale e politica della sinistra è quella di un Lego da assemblare con dadini però privi dei pezzi che consentono loro di incastrarsi. Nelle urne come nelle idee.

Dall’altra parte, a destra, tutto si incastra e si impasta, compreso il “manganello e botulino” stile Santanchè. Impasto che congela, iberna l’Italia nei suoi vizi e nelle sue storture, colla passata all’ingrosso come fosse silicone che impermeabilizza dalla realtà e dalla modernità. Questo è quello che passa, anzi cucina il convento. Ma non è solo colpa dei cuochi, di destra e di sinistra: cucinano quel che noi gli abbiamo messi in dispensa. Niente di più, niente di meno.