La saga Berlusconi – Fini e la riforma della giustizia

di Marco Benedetto
Pubblicato il 11 Novembre 2009 - 11:40 OLTRE 6 MESI FA

Berlusconi e Fini

Continua la saga intitolata “Berlusconi e Fini alla ricerca dell’amore perduto”, che non appassionerebbe nessuno se non riguardasse due personaggi che hanno in mano le chiavi su almeno una parte del nostro futuro.

Il riassunto delle ultime ventiquattro ore comincia martedì mattina con l’incontro tra Berlusconi e Fini, cui seguono subito notizie contrastanti. Berlusconi dice che tutto è ok, Fini dice nemmeno per sogno.Il teatrino continua per l’intera giornata, con la notizia conclusiva che l’intesa tra i due sul tema giustizia è stata raggiunta. In effetti l’intesa c’è stata, ma non nei termini che avrebbe  voluto Berlusconi: non ci dovrebbe essere la riduzione dei tempi di prescrizione dei reati, in particolare qwuelli tributari, ma solo dovrebbero essere posti limiti alla durata dei processi, nei fatti accorciando di poco i termini di prescrizione attuali.

Berlusconi, al di là del sorriso che sfodera anche nelle peggiori occasioni, è furibondo. Subito dopo l’incontro con Fini ha cancellato un viaggio a Milano e si è chiuso in ufficio a rimuginare la situazione.  Non basta a dissipare i dubbi l’olimpica serenità di Paolo Bonaiuti, che dice: tutto perfetto, la dialettica è fondamentale nei partiti. Berlusconi ha fretta, Fini ha l’asso in mano. Berlusconi costringe i suoi a lavorare tutta la notte per essere in grado di presentare mercoledì al Senato il disegno di legge sul processo breve. La scelta del Senato non è casuale: lì c’è Renato Schifani, la cui lealtà a Berlusconi sembra garantita.

La conferma dell’ira berlusconica arriva mercoledì mattina con l ‘attacco concentrico a Fini da parte del Giornale, di cui è proprietario il fratello di Berlusconi e è direttore Vittorio Feltri, e da parte di Sandro Bondi, il più devoto dei fedelissimi di Berlusconi.

Da una parte c’è Silvio Berlusconi, l’uomo che ha dato all’Italia la tv commerciale, entrato in politica per difendere le sue televisioni dal pericolo rosso, ossessionato, e con qualche ragione, di essere il principale bersaglio di una via giudiziaria alla politica, dimenticando che forse qualche ragio ne gliela ha anche data; l’uomo che, nel bene e nel male, è stato uno dei più grandi imprenditori italiani del dopoguerra e si è rivelato anche uno dei più politici più capaci, ancorché di complemento.

Dall’altra c’è Gianfranco Fini, l’ex fascista che è diventato il cocco degli anti- berlusconiani di sinistra perchè su ogni cosa, fossero pure le previsioni del tempo, attacca Berlusconi, da quando si è accorto di essere stato espropriato del partito da lui (ma con l’aiuto determinante dell’altro) fatto uscire dalle fogne e portato all’onor del mondo. Non ci sdarebbe match tra i due se non fosse per un errore strategico di Berlusconi, commesso quando, nella marcia inesorabile verso la fusione di Fi e An nel Pdl, dovendo dare in qualche modo una collocazione che appagasse la vanità dell’espopriato, lo ha collocato alla terza carica dello Stato, dimenticando che la carica di presidente della Camera dei deputati non è solo onorifica e di parata. Da quella poltrona, se occupata da uno che, come Fini, conosce bene la tecnica della politica, si può controllare e orientare il flusso della produzione delle leggi.

Così oggi Berlusconi se lo trova sulla strada, in condizione di impedirgli di fare fino in fondo quello che vuole, in grado di imporgli limiti e deviazioni: situazione oggettivamente tranquillizzante per i cittadini comuni, fastidiosa per Berlusconi, che nei suoi studi giovanili ha trascurato le teorie sulla contrapposizione dei poteri e non può quindi accettare uno dei cardini della democrazia occidentale moderna. Chi vuole approfondire, studi la via crucis affrontata dal povero Obama per fare passare la sua riforma sanitaria.

Forse Berlusconi ha sottovalutato il rancore di Fini nei suoi confronti, come di rado gli capita, ma quando gli capita fa danni. Se si leggono con attenzione le parole di Maurizio Gasparri di domenica 8 sulle prospettive politiche di Fini (“non se ne andrà mai da Pdl”), si può anche immaginare  quel che si saranno detti: Fini si agita, ma non ha alternstive. Ora, che non abbia alternative è vero, ma può sempre vendere cara la pelle e far pagare a Berlusconi l’umiliazione di averlo di fatto espropriato del partito.

Ma Berlusconi non può permettersi di perdere tempo, anzi la sua è proprio una corsa contro il tempo. E il tempo della sua azione politica è scandito da un orologio con unnome inglese, Mills.

Sul tavolo c’è la riforma della giustizia, una cosa che è ritenuta necessaria dal giorno dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale della Costituzione, auspicata per decenni dai procuratori generali della Repubblica ad ogni inaugurazione di anno giudiziario, trascurata nei fatti da tutti perché tutti, finiti i vari discorsi, buttavano i fogli con gli appunti per il discorso e correvano a occuparsi d’altro. Si tratta di una riforma complessa, che non può riguardare solo il ruolo, il lavoro, la produttività dei magistrati ma anche gli strumenti a disposizione della macchina della giustizia.

Ha ragione Fini nel lamentare che il problema riguarda anche le cose più elementari come i pezzi di carta, ma viene spontaneo chiedergli se lui è arrivato ieri solo ieri in Italia e con che passaporto. Infatti, Fini, come la gran parte di quelli che si occupano dei prolemi italiani, ha lo stesso atteggiamento di un turista inglese negli anni del “gran tour”, interessato ai monumenti, disgustato dalle miserie, pronto a tornarsene allegro e distratto alle sue attività usuali.

Così la riforma della giustizia, invece di essere al centro dell’agenda della sinistra, che la tutela dei deboli e degli oppressi in particolare, dei diritti dei cittadini in generale dovrebbe avere nella sua bandiera, è affidata alle cure di un sisgnore che, a torto o a ragione, con quella giustizia ha dei conti aperti.