Si gonfiano liste e candidati: ventimila si “tuffano” nelle elezioni

ROMA – I posti diminuiscono ma la domanda aumenta. La torta si rimpicciolisce ma il numero di coloro che ne vorrebbero una fetta continua a crescere. Fotografia infelice di un paese in cui accedere alla “casta”, seppur al gradino più basso, è un obiettivo che anima molti, moltissimi. Alle prossime elezioni amministrative, nonostante la cura Calderoli che ha tagliato le poltrone disponibili e gli stipendi di quelle rimaste, la carica dei candidati è un’onda in continuo aumento. Nelle undici province che si recheranno alle urne, dove si presentano complessivamente 197 liste per un totale di 4mila candidati, i posti a disposizione sono 264, ovvero 64 in meno rispetto alle precedenti consultazioni. Ancora più sproporzionata la situazione nei comuni: 1.032 scranni da consigliere (194 in meno) per 20mila candidati.

Rizzo e Stella, giornalisti del Corriere della Sera, pubblicarono qualche anno fa un libro dall’enorme successo, La Casta. Al di là delle fortune editoriali, il titolo di quel libro è entrato a far parte del lessico italiano come migliore definizione per indicare la classe politica, ma applicabile anche ad altre categorie, intesa come raggruppamento di individui che godono, e difendono strenuamente, diritti acquisiti. Entrare a far parte della casta è, come prima del conio delle definizione, un’ambizione diffusa. L’esercito di candidati, il mare magnum di aspiranti consiglieri può oggi, a buon titolo, esser raccontato come “la carica della castina”.

Difficile credere che sia la passione politica, la voglia di cambiare in meglio il mondo e la propria città, ad animare la massa di candidati che si prepara a scendere in campo nelle amministrative di domenica e lunedì 15 e 16 maggio. Un fiume di liste, infarcite di migliaia di aspiranti consiglieri, che sono nel profondo animati dalla speranza di riuscire ad agguantare una poltrona da assessore provinciale o comunale. Solo nei 30 capoluoghi di provincia pronti al rinnovo dei consigli municipali, se si mettono in fila tutti i nomi che compaiono sui manifesti elettorali, si arriva alla cifra di 20mila candidature. Ventimila persone per 1000 poltrone, le elezioni somigliano sempre più ad un concorso pubblico dove ci si presenta nella speranza di ottenere quello che in Italia sembra inottenibile, il posto fisso. Visione distorta della democrazia e della partecipazione popolare, ma dato di fatto.

Lasciando da parte i casi di Napoli, Milano e Torino dove, complessivamente, corrono circa 4mila candidati e dove il numero di abitanti può giustificare o quantomeno rendere plausibile una grande partecipazione, sono le realtà minori a fornire lo spaccato reale, e in particolare il proliferare della liste. Oltre mille candidati in lizza a Cagliari (1139), 1028 a Cosenza e oltre ottocento a Crotone (812) e a Trieste (806). La vera cartina di tornasole della corsa alla politica è rappresentata dal numero di liste che nei comuni capoluogo di provincia raggiunge la quota complessiva di 629 compagini. Si va dal record torinese (37 liste) alle 31 di Napoli, che “batte” Milano di un’inezia (2 partiti in più). Ma, come abbiamo detto, Napoli, Milano e Torino contano un milione di abitanti o giù di lì e quindi sono casi “particolari”. Ma che dire di Cosenza e delle sue 33 liste per poco più di 70mila abitanti o di Cagliari, 31 liste per circa 150mila cagliaritani?

Se poi si confrontano questi numeri con il panorama elettorale di cinque anni fa, quando i municipi chiamati oggi al voto elessero i consigli ora in scadenza, tolte alcune eccezioni, si vede che l’aumentare di candidati e liste è un fatto geograficamente e politicamente diffuso. Prendendo in considerazione i comuni che oggi schierano 25 o più liste che, almeno fra i capoluoghi di provincia, sono ben undici, il raffronto segnala un aumento medio del 13 per cento dei simboli di partito. Ovviamente ci sono le eccezioni: a Milano si è passati da 34 a 29 e ancora più consistente il calo a Reggio Calabria, da 36 a 25 e a Torino il conto risulta in pareggio. Ma l’eccezione conferma la regola. In tutti gli altri casi infatti le compagini crescono. A Cosenza si passa da 19 a 33 partiti, a Caserta da 18 a 25, a Crotone da 20 a 27, a Cagliari da 25 a 31. Vero è che rispetto a cinque anni fa sono nate l’Api e Fli, Pionati ha lasciato l’Udc e fondato un proprio gruppo, la crisi nel centrodestra ha partorito i Responsabili. Ma da solo questo elemento non basta a dare ragione dell’affollarsi di gruppi, e la parte del leone la fanno sempre più le liste civiche che compaiono come funghi.

L’obiettivo finale non è nemmeno l’elezione. Alla castina si può accedere anche da porte laterali e secondarie. Molti degli aspiranti membri della casta, pur essendo consapevoli della quasi impossibilità dell’impresa, si buttano comunque nella competizione per tentare di conquistare un pacchetto di voti attraverso il quale, anche in caso di sconfitta, dimostrare il loro peso. Una dote di preferenze da giocare magari come elemento di pressione su sindaci o presidenti di provincia in caso di ballottaggio o da spendere in occasione di prossime tornate elettorali. E, nonostante Calderoli, se il Presidente del Consiglio per sopravvivere politicamente elargisce sottosegretariati e poltrone varie, perché non dovrebbe essere legittimo sperare che questo accada anche a livello locale? I ventimila lo sanno, e ci provano.

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