Marzabotto, sfregio premeditato: gol, aquila di Salò e saluto fascista sbattuti in faccia ai morti

di Lucio Fero
Pubblicato il 13 Novembre 2017 - 14:10 OLTRE 6 MESI FA
marzabotto-maglietta

Il giocatore della 65 Futa esulta con la maglietta fascista a Marzabotto

ROMA – Marzabotto, sfregio premeditato di un fascista. Fascista che solo incidentalmente gioca anche al calcio. Il fascista ci ha pensato, lo ha voluto e programmato. Aveva un progetto: quello di sbattere in faccia a quelli di Marzabotto, sì proprio a loro che da decenni fanno le vittime, le insegne e il saluto fascisti. Il piano era di sbattere in faccia ai piagnoni di Marzabotto, quelli con le loro litanie sui morti ammazzati dai nazi-fascisti, un bel tiè settanta anni dopo sì, ma sempre genuinamente fascista.

Quindi il fascista di sostanza e calciatore occasionale si è preparato. Andava a giocare sul campo del Marzabotto, seconda categoria dilettanti. Ma il fascista non è certo fascista di seconda categoria, tanto meno fascista dilettante. Quindi si è procurato una maglia, anzi sotto maglia nera ovviamente con l’aquila della bandiera della Repubblica di Salò, quella sotto la quale i fascisti 74 anni fa combattevano la guerra civile contro gli italiani e al fianco dei nazisti tedeschi. La bandiera, l’aquila e le insegne che accompagnarono dal 1943 al 1945 sempre i repubblichini quando andavano a rastrellare, incendiare, impiccare, fucilare spesso e volentieri civili, donne, vecchi e bambini sospettabili di essere niente meno che non fascisti.

Sapeva bene quel che faceva il fascista vestito da giocatore di calcio. Fascista di sostanza e missione, calciatore per caso. Infatti non appena segnato il gola della vittoria contro il Marzabotto, il fascista non per caso è andato a sventolare sotto la tribuna la sotto maglia con le insegne di Salò e il relativo saluto fascista a braccio teso. Sfregio premeditato, beccatevi questo. Sfregio in faccia ai morti di Marzabotto, alle centinaia e centinaia di ammazzati dai nazisti e fascisti settanta e passa anni fa. Proprio lì, ammazzati proprio lì dove oggi il fascista vestito da calciatore è andato a sfregiarli.

Sfregio voluto che nel suo piccolo, senza per nulla esagerare, è un atto di guerra civile. E come tale va inteso e trattato. Dalla legge, dallo Stato. Perché non è roba che riguarda il calcio o le mini cronache politiche. Qualcuno abbia pietà e pena per quell’arbitro che nulla ha fatto perché nulla sa evidentemente ed evidentemente nulla sente. Incapace di intendere quel che accadeva quell’arbitro probabilmente ignorante di tutto quel che significava quel che accadeva e quindi ignorante di quel che accadeva. Incapace di intendere la storia, gli uomini, i fatti. E quindi incapace di volere un’emozione, un sentimento, un pensiero, un’azione, una dignità. Ma in fondo lo sfregio voluto e premeditato, il piccolo ma sincero atto di guerra civile  andava oltre la competenza di un arbitro.

Oltre la competenza di un arbitro, oltre quella di una squadra (che però farebbe meglio a non essere omissiva e quindi complice), oltre la competenza di una società di calcio, oltre la competenza del calcio. Tutti questi, arbitro compreso, avrebbero fatto bene e farebbero bene a buttar fuori il fascista vestito da calciatore. Ma non tocca a loro se non come cittadini italiani rispondere al piccolo atto di guerra civile grande sfregio. Tocca ai carabinieri, ai magistrati, ai giornalisti e alla gente detta pubblica opinione. Ciascuno per la sua parte e nel suo ruolo.