Parlamento, il più ignorante della storia d’Italia. Laureati 60% (da 3 più 2…) Nel 1948 erano il 91%

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 28 Settembre 2017 - 10:53| Aggiornato il 17 Aprile 2020 OLTRE 6 MESI FA
Parlamento, il più ignorante della storia d'Italia. Laureati 60% (da 3 più 2...) Nel 1948 erano il 91%

Parlamento, il più ignorante della storia d’Italia. Laureati 60% (da 3 più 2…) Nel 1948 erano il 91%

ROMA – Parlamento, il più ignorante della storia d’Italia. Nell’attuale Parlamento, grazie anche al massiccio afflusso di eletti soprattutto se non solo in nome del cambio e ricambio, la percentuale di parlamentari laureati (per quel che vale e attesta il possesso di una laurea) è ulteriormente calata ad uno stentato 60 per cento.

Tanto per farsi un’idea, nella prima legislatura della Repubblica, nel Parlamento dell’Italia del primo dopoguerra i laureati erano il 91 per cento (dati raccolti da Raffaele Simone in articolo su L’Espresso). Ma allora, pensa che sciocchi, gli elettori non si turbavano per nulla all’idea che in Parlamento si dovessero mandare i migliori. Allora l’idea esistesse un ceto dirigente, tale per cultura e competenza, non appariva sopraffazione, appariva (incredibile!) garanzia e speranza.

Oggi in Parlamento gli elettori ritengono sia bello e giusto e sano mandare soprattutto “uno di noi”. Uno di noi che si qualifichi come raccomandabile proprio perché non sa un tubo di nulla e quindi non fa parte di nessuna casta. Quindi, conseguentemente, nel 2.013 gli elettori italiani hanno votato il Parlamento più ignorante della storia d’Italia e al prossimo giro, nel 2.018, manterranno o miglioreranno la performance. La performance di farsi rappresentare da un ceto politico dove, in concordia con il paese reale, la competenza è sospetta e l’ignoranza è virtù civile da esibire.

La performance di stabilire e presidiare il concetto e il valore secondo cui il cittadino, alias la gente, ha nel suo perimetro di identità e di genuinità e quindi ancora di validità, l’ignoranza appunto. Il Parlamento più ignorante della storia d’Italia non nasce in un deserto e non è precipitato sulla penisola portato da un’asteroide.

In Italia con il fallito, fallimentare sistema del tre più due, della laurea breve poi suffragata, non sempre, dall’altro biennio, ci si laurea dopo i 27 anni in media. Anzi, ad essere precisi per i tre anni di corso di studi in media ci si mettono 4,9 anni per completarli. Per fare 5 (il tre più due) la media del tempo impiegato è di 7,4 anni. Non bastasse questo passo da bradipo che sforna laureati all’età in cui all’estero si è già abbondantemente al lavoro, il numero complessivo dei laureati con il tre più due è inferiore al numero di quanti venti o trenta anni fa si laureavano con gli allora normali tempi dei corsi di laurea: quattro, cinque o sei anni a seconda delle Facoltà.

Laurea breve poi specialistica, tre più due. Sistema pomposamente presentato come aggiornamento didattico. In realtà era la voglia matta di farla più facile l’Università. Risultato: meno laureati di prima e laureati in media molto poco preparati e competenti.

Sul farla sempre più facile l’Università (ancora!!!) non demorde la sociologia orecchiata ma ormai incistata nella sinistra politica. Ultima la ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli che attribuisce il calo delle lauree alle famiglie “meno abbienti” che non vedono più il “pezzo di carta” remunerativo in termini di ascensore sociale. Non è così, è il contrario. E’ che il “pezzo di carta” è sempre più carta culturalmente e professionalmente svalutata, qua e là carta fuori corso appunto. E questa svalutazione è figlia diretta del rendere la laurea facile. Cosa in cui la Fedeli si propone di perseverare. Per dare soddisfazione alle famiglie meno abbienti, un pezzo di carta ai loro figli.

Troppo facile e ingeneroso notare che un qualche corso di studi storici o di filosofia delle dottrine politiche o comunque un corso di laurea in scienze umane che avesse dato conto e nozione dei vettori di comportamento nelle comunità umane, qualcosa insomma di più colto e ampio della sociologia sindacale avrebbe giovato alla complessità del pensare (e agire) della Fedeli.

Ma fosse solo la Fedeli che la laurea non ha, come non ce l’ha Luigi Di Maio e in entrambi i casi si vede. Come si vede in tanti pensieri e parole di parlamentari in carica. E non solo parlamentari perché quesri sono “la crema”. Sotto e più ignoranti di loro ci sono i politici locali, i sindaci, gli assessori, i consiglieri…

Ma fossero solo i politici, il ceto politico oggi in carica ha un’età media di 45 anni circa. E’ andato quindi nella scuola già invasa e conquistata dalla predicazione per cui la trasmissione di sapere e competenze era roba di cui diffidare e da cui allontanarsi. E’ quindi, anche per via della sua formazione scolastica, il ceto politico diretta e corretta espressione della gente d’Italia che considera il pensiero astratto come una cosa appunto, lo dice la parola stessa, fumosa e inesistente. Che considera la scienza o una noia o un imbroglio, a scelta le combinazioni tra i due elementi. Che considera la competenza come prova di impiccio. Che considera la cultura, diciamolo, come parte e strumento della sopraffazione dei poteri forti sulla brava gente comune.

Parlamento, il più ignorante della storia d’Italia e, insieme e per questo, il Parlamento più vicino e a immagine e somiglianza del paese della storia d’Italia.