Pd alla resa dei conti. Come e quanto vuole stare nel governo?

di Emiliano Condò
Pubblicato il 23 Aprile 2013 - 14:45| Aggiornato il 10 Febbraio 2023 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Resa dei conti, svolta, “intronizzazione” di Matteo Renzi o forse il contrario: “trappolone” a Matteo Renzi. Il Partito Democratico alle ore 16 del 23 aprile entra di fatto nell’era post Bersani e ci entra con una domanda: come e quanto vuole stare nel governo?

Soprattutto il Pd ci entra in una situazione critica,  un partito lacerato chiamato subito a scelte decisive: darsi un reggente, darsi una linea il più possibile compatta sul governo che sarà, decidere se l’opzione Renzi premier va, incassato il sì del Pdl, vada presentata o meno a Napolitano col placet del Pd.

E per decidere tutto questo, per tornare a fare politica da partito, ci saranno due ore di tempo, forse qualcosa di meno. Perché c’è Giorgio Napolitano che ha fretta e ha compresso tutte le consultazioni in un giorno solo. Risultato: alle 18:30 sono attesi al Quirinale i due capigruppo Luigi Zanda,  Roberto Speranza e il vicesegretario dimissionario Enrico Letta.  Possibilmente, se non con un nome per il governo, almeno con un’idea.

Il nome che tutti pronunciano, in queste ore è quello di Matteo Renzi. Il Pd sa di dover ripartire da lui ma la situazione attuale potrebbe costringerlo a bruciare le tappe. Renzi, infatti, già stasera potrebbe trovarsi con in mano una lettera d’incarico firmata da Napolitano per formare un nuovo governo. Fantascienza? Forse no. Perché il nome di Renzi come premier ha iniziato a circolare già nella serata di lunedì. A farlo, ed è una circostanza che non è sfuggita a destra, sono stati quelli che nel Pd sono considerati i “più di sinistra”, ovvero i Giovani Turchi.  Ha iniziato l’ex responsabile giustizia del Partito, Andrea Orlando, ha continuato in diretta tv Matteo Orfini.

Fiducia o “trappolone per bruciarlo” che sia i turchi arriveranno in direzione con un nome, un cognome e un programma: Matteo Renzi premier. Il tutto, scrive Repubblica, dopo aver incassato una disponibilità di massima da parte del sindaco di Firenze. Ma cosa troveranno in direzione? Troveranno dei vertici dimissionari ma non per questo pronti a srotolare il tappeto rosso. Lo sa lo stesso Renzi che arrivando liquida il tutto con una battuta, come a voler sdrammatizzare: “Ora entro, chissà se mi faranno uscire”.  Ci sarà un Enrico Letta il cui nome, fino a qualche giorno fa, circolava proprio tra i papabili premier. Letta, ovvero un’altra “vittima” del fuoco amico, uno su cui è pesato il veto di un altro dirigente dimissionario, il presidente Rosy Bindi.

Eppure è possibile, anzi probabile, che Letta finisca proprio per aggregare quel che resta dell’altro Pd, quello che “va bene tutto tranne Renzi”. Intanto, quasi certamente farà da “reggente”, da traghettatore fino al congresso. Non da solo, ovviamente, ma con un collegio di persone ciascuna delle quali rappresenti un’anima diversa del partito: Franceschini per i popolari, Orlando per i Giovani Turchi e  Delrio (compatibilità permettendo) per i renziani.

Poi c’è la questione governo. Napolitano è stato chiaro e il governo va fatto. Ma con quale Pd? Con che livello di partecipazione. L’opzione Renzi è calda, ma rischia di bruciare lo stesso sindaco che, non a caso, fino a ieri benediceva il governo Letta. L’idea alternativa è quella di un governo politico col Pd che non comprometta troppo il Pd. Come? Utilizzando figure del Pd che però non sono più né in Parlamento né al centro del dibattito politico. I nomi che circolano, da Walter Veltroni a Pierluigi Castagnetti a Luciano Violante fanno pensare a un Pd presente ma non in primo piano.

La certezza, almeno una, è il vincolo di mandato. Chi non voterà la fiducia al governo di Napolitano, qualsiasi governo sia, è fuori dal Pd. Ma, stando alle ultime indicazioni, usciranno in pochi. Fabrizio Barca, presente in direzione, inizierà l’assemblaggio di una sinistra interna. Per ora, quindi, l’errore della scissione a sinistra non sembra destinato a ripetersi.