Regione Lazio: Roma più laica di quanto si creda, Bonino può vincere

Pubblicato il 23 Marzo 2010 - 12:54 OLTRE 6 MESI FA

Emma Bonino può vincere le elezioni regionali nel Lazio, nonostante la forte connotazione cattolica della città di Roma e i dubbi che porta con sè la candidatura di una radicale.

Non è stato un azzardo per il centrosinistra candidare una vera laica come Emma Bonino, proprio nella Regione dove vive e predica il Papa e dove si trova la capitale mondiale del cattolicesimo? Quanto è destinato a pesare l’appello in zona Cesarini del cardinale Bagnasco contro i politici «abortisti»? Se lo chiede Fabio Martini su “La Stampa”, in un articolo che sfata, almeno in parte, il mito di “Roma papalina”.

Nel Lazio (dove abita l’8,6% della popolazione italiana) opera una moltitudine senza eguali di suore (ben 18.123, il 22% di quelle presenti in Italia) e di religiosi (5.138, pari al 29,5%), in gran parte concentrati nel quartiere più cattolico del mondo, l’Aurelio, che qualcuno ha simpaticamente ribattezzato «Gran Pretagna».

Questo, però, non ha impedito ai progressisti di vincere ripetutamente in questa Regione.

Più interessante è il voto di frontiera, quello delle parrocchie e delle associazioni. Nel Lazio parroci e vice-parroci sono pochi: 2.096, soltanto il 6,2% del totale nazionale. Scarseggiano anche i seminaristi: sono appena 362, il 7,7% del totale. Tracce di una certa freddezza del popolo cattolico romano si trovano pure nelle parole pronunciate dal capo della diocesi romana, il cardinale Agostino Vallini: «Roma vive tutte le difficoltà legate al tempo che viviamo, le vocazioni sono poche rispetto ai bisogni, la partecipazione alla messa ha una frequenza attorno al 20 per cento».

Il vicario ha lanciato il messaggio ai suoi parroci: meglio la Polverini, ma niente crociate, mobilitazioni nelle parrocchie, omelie orientate o volantinaggi come fu fatto in occasione dei referendum sulla procreazione assistita. Anche perché Roma è una città più laica di quel che si creda.

Lo dimostra un dato trascurato: proprio in occasione dei referendum sulla procreazione del 2005 (quelli che la Chiesa osteggiò invocando l’astensione), mentre a livello nazionale la partecipazione si fermò al 25,9%, a Roma andò a votare il 37,4% e i sì alla abrogazione della legislazione restrittiva erano stati 741.000, cifra assai rispettabile in termini assoluti.

E l’approccio disincantato dei romani è confermato da un recente sondaggio della Ipsos: tra i «praticanti assidui» (quelli che vanno a messa tutte le domeniche), il 37% dice che voterà per la Bonino e il 30% per la Polverini.

La partita si gioca soprattutto sui flussi di opinione e di potere: a Roma (dove vota il 70% degli elettori laziali) la sinistra ha governato la città per quasi 30 anni di seguito, costruendo un solido sistema di potere (da 2 anni incrinato da Alemanno sindaco) che quasi tutto controlla, appalti, municipalizzate, Regione, Provincia, sanità pubblica, oltre a quel «soft power» così tipicamente romano, lo sterminato indotto culturale, alimentato da associazioni e grandi enti (Cinecittà, la Rai, l’Auditorium) nei quali la destra ha iniziato a penetrare da poco tempo.