“Gheddafi, dacci 10 milioni e ti salviamo”. Repubblicano il “capo lobby”

Pubblicato il 25 Novembre 2011 - 13:13 OLTRE 6 MESI FA

WASHINGTON – Mentre la guerra cominciava in Libia e gli aerei della Nato colpivano impietosi i bersagli strategici del regime, negli Stati Uniti qualcuno voleva salvare Gheddafi. Un gruppo di americani pensava a come fare una montagna di soldi con la situazione politica. Gheddafi era stato a lungo considerato il tiranno di uno stato nemico – il «cane pazzo del Medio Oriente» aveva detto Ronald Reagan – ma adesso che il dittatore era in difficoltà, alle prese con un’opposizione militare interna, si poteva anche cercare di sfruttare la sua enorme ricchezza.

Così almeno aveva pensato un colorato consorzio di americani, un esperto di terrorismo a Washington, un veterano della Cia, un candidato repubblicano ed un avvocato di Kansas City. L’offerta era chiara e messa nero su bianco in una lettera datata il 17 aprile, a poche settimane dai primi successi del movimento rivoluzionario. In cambio di una consultazione, di un’attività di lobbying nei palazzi di Washington, il colonnello avrebbe dovuto sborsare 10 milioni di dollari. «Le tariffe stabilite sono TARIFFE MINIME NON RIMBORSABILI» era scritto con lettere maiuscole nel documento recentemente ritrovato e pubblicato.

Neil C. Livingstone, consulente esperto di terrorismo, ammette di aver pensato al progetto, dopo aver saputo che Saif al-Islam, il figlio di Gheddafi, era interessato ad un exit-strategy per la famiglia. Ma Livingstone, oggi candidato alle primarie repubblicane per la corsa a governatore del Montana, non voleva lavorare gratis e i 10 milioni di dollari sarebbero serviti a fornire al colonnello e ai suoi figli una salva condotto per un «santuario» arabo.

Si prevedeva inoltre che la Gheddafi potesse anche conservare una parte del patrimonio che era stata «congelato» in vari paesi occidentali, tra cui gli Stati Uniti. Mentre privatamente Livingstone faceva lobbying per Gheddafi, anche in pubblico difendeva l’idea, per lui potenzialmente redditizia, di una via di uscita pacifica al conflitto. In un’apparizione alla Cnn, il 22 marzo, criticava la strada intrapresa allora dalla Nato, quella dei bombardamenti strategici e difendeva l’idea di un esilio concordato con la famiglia di Gheddafi. Esattamente quello che, in privato, voleva organizzare in cambio di una cospicua somma di denaro.

Su Internet, una pagina chiamata WikiLeaks Libia ha rivelato un altro aspetto della faccenda. Il 17 aprile, uno dei partner dell’accordo, un belga chiamato Dirk Borgers, ha indirizzato una lettera di tre pagine rivolta al colonnello Gheddafi. In questa, invece di parlare di exit strategy, si proponevano dei servizi di lobbying per sconfiggere politicamente i ribelli e conquistarsi l’appoggio del governo americano.

«Vorremmo aiutarvi a bloccare le azioni dei vostri nemici internazionali – scrive Borgers – e sostenere delle relazioni normali con il governo degli Stati Uniti. Perciò è necessario parlare con una sola, forte, voce con il Governo». La lettera si chiude con «Suoi fedeli servitori». Segue la firma di Borgers e il nome di altri quattro americani, tra cui quello di Livingstone, consulente di terrorismo, candidato repubblicano in Montana.