Libia: Obama firma le sanzioni con Onu e Ue. Allarme profughi

Pubblicato il 26 Febbraio 2011 - 08:16 OLTRE 6 MESI FA

Barack Obama

TRIPOLI – Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha varato, in serata, una serie di sanzioni contro la Libia, congelando i beni della famiglia Gheddafi, ma non quelli che appartengono al popolo libico. Obama ha firmato l’ordine esecutivo poche ore dopo che i Quindici del Consiglio di Sicurezza avevano raggiunto un accordo in serata a New York, su una serie di misure internazionali dello stesso tipo.

Ed è attese, salvo sorprese dell’ultimo minuto, l’approvazione formale di queste prime sanzioni dell’Onu contro la Libia, aprendo la via ad un eventuale ricorso internazionale per crimini contro l’umanità. Allo stesso tempo, il segretario generale Ban Ki-moon ha lanciato l’allarme profughi, chiedendo ai paesi vicini alla Libia – compresi quelli europei e quindi anche l’Italia – di tenere aperti i confini per ragioni umanitarie. Il Consiglio di Sicurezza si è riunito ieri pomeriggio (in serata in Italia) per consultazioni a New York, separandosi con un accordo di massima, che verrà perfezionato in queste ore, come ha annunciato la presidente di turno, la rappresentante del Brasile, Maria Luiza Ribeiro Viotti.

Ban, scambiando alcune battute con la stampa del Palazzo di Vetro, ha detto che “è importante che i Paesi vicini (alla Libia), compresi quelli europei, lascino i confini aperti alle persone che stanno fuggendo” dal Paese. Il segretario generale ha sottolineato che ci sono “serie indicazioni di una crisi sempre piu’ grandi per rifugiati e profughi” che stanno scappando dal Paese per evitare di essere uccisi. Non c’è quindi soltanto la pressione sempre più forte della piazza in Libia, che sta conquistando giorno dopo giorno il paese: il rais Muammar Gheddafi è sempre più isolato internazionalmente, con l’avvicinarsi di una serie di sanzioni come il blocco dei beni del regime e l’embargo sulle forniture di armi, mentre i suoi diplomatici in giro per il mondo continuano ad abbandonarlo: l’ultimo è Mohammed Salghadi, un fedelissimo, ex ministro degli esteri, ex ambasciatore in Italia, o ora rappresentante permanente all’Onu.

Appare inoltre scontata l’espulsione della Libia dal Consiglio dei diritti umani dell’Onu, con sede a Ginevra, sul quale l’Assemblea Generale, a Ny, si pronuncerà il primo marzo. Sanzioni sono sul punto di essere varate anche dall’Unione europea, dopo l’accordo raggiunto ieri a Bruxelles tra i 27: anche in questo caso si tratta di un embargo sulle armi e il blocco dei beni, oltre all’interdizione per Gheddafi, i suoi familiari e i suoi collaboratori di viaggare nell’Ue. Nato ed Unione europea stanno inoltre coordinando gli sforzi per mettere a punto un piano di emergenza umanitaria, oltre ad una no-fly zone, un’area di non volo, per proteggere pozzi petroliferi e popolazioni civili. Gli Stati Uniti hanno alla fin fine alzato anch’essi la voce, dopo le incertezze dei giorni scorsi, forse perché una nave carica di profughi è riuscita a lasciare finalmente la Libia, e lo stesso hanno fatto una serie di voli charter.

Le attività dell’ambasciata a Tripoli sono state sospese e il personale diplomatico è stato evacuato all’estero. Rispetto al presidente francese Nicolas Sarkozy – che nel corso di una visita in Turchia ha espressamento chiesto a Gheddafi di andarsene – Obama continua però a mantenere una linea più prudente, non chiedendo espressamente che lasci il potere. Gheddafi ha perso la fiducia della sua gente, ha detto il suo portavoce Jay Carney e la sua legittimità è “ridotta a zero”. Secondo la Casa Bianca, lo status quo “è inaccettabile” in Libia perché il popolo “ha chiaramente espresso che le continue violenze mortali (commesse da Gheddafi) rappresentano una chiara violazione dei diritti umani, inaccettabile in qualsiasi parte del mondo”. Il portavoce della Casa Bianca lo ha detto rispondendo ad una domanda proprio sulla dichiarazione di Sarkozy, ma non è stato altrettanto esplicito.”La decisione appartiene al popolo libico”, ha detto Carney, aggiungendo poi nel corso del briefing “che per noi non si tratta di una questione di personalita”.