Myanmar: la Birmania verso un mercato?

di Licinio Germini
Pubblicato il 8 Ottobre 2011 - 15:38 OLTRE 6 MESI FA

Il capo dell'opposizione di Myanmar Aung San Su Kyi

WASHINGTON, STATI UNITI – Gli Stati Uniti stanno valutando l’avvento di un miglioramento delle loro relazioni, finora pessime, con l’autocratico regime di Myanmar (la ex-Birmania), con la possibilità di allentare le restrizioni sull’assistenza finanziaria e intraprendere altre iniziative allo scopo di incoraggiare quelli che alti funzionari dell’amministrazione del presidente Barack Obama descrivono come sorprendenti cambiamenti nel Paese.

Il nuovo atteggiamento americano, sebbene appena agli inizi, fa seguito alle corrotte elezioni dell’anno scorso che nondimeno con l’elezione del nuovo governo fanno intravvedere la possibilità di un parziale riduzione delle restrizioni alle libertà individuali e di una collaborazione con il capo dell’opposizione e premio Nobel per la Pace, Aung San Suu Ky, relegata per 15 anni agli arresti domiciliari e liberata a novembre dello scorso anno.

I cambiamenti, introdotti dal nuovo presidente U Thein Sein, un ex generale membro della giunta militare che ha governato col pugno di ferro Myanmar per 20 anni, offrono agli Stati Uniti la possibilità di migliorare le relazioni con un Paese del Sudest asiatico ricco di risorse e che per molti anni, isolato dal resto del mondo, ha avuto come unico alleato la Cina. Ora anche le relazioni con Pechino sembra che stiano cambiando: la leadership di Myanmar la settimana scorsa ha inaspettatamente bloccato la costruzioe di una diga da 3,6 miliardi di dollari, con finanziamenti cinesi, una decisione che ha profondamente irritato Pechino.

L’amministrazione Obama, sebbene ancora scettica su quanto sta accadendo a Myanmar, ha risposto con una serie di piccole aperture diplomatiche, sperando che una transizione democratica giovi alla stabilità ed alle opportunità economiche nella regione in un momento in cui cresce la competizione americana con la Cina per la maggiore influenza in Asia. Dopo una visita di cinque giorni a Myanmar dell’inviato speciale Usa Derek Mitchell, il ministro degli esteri U Wunna Maung Lwin ha incontrato la settimana scorsa a New York e Washington alti funzionari del Dipartimento di Stato, cosa che non avveniva da decenni.

I motivi che hanno portato al ‘nuovo corso” hanno lasciato perplessi gli Stati Uniti e non solo, ma i segnali pervenuti finora sembrano indicare che Myanmar sia impaziente di por fine al suo isolamento diplomatico e ricostruire una devastata economia che ha ridotto in povertà i suoi 55 milioni di abitanti, cosa che il governo ha ammesso per la prima volta nel discorso inaugurale di Thein Sein nel marzo scorso. In più, emissari governativi del nuovo presidente hanno ripetutamente incontrato Suu Kyi, demonizzata dalla precedente giunta al punto che il suo nome poteva solo essere bisbigliato per timore di rappresaglie. E lei stessa ha espresso un cauto sostegno per quelle che sembrano aperture politiche.

Il governo ha anche discusso per la prima volta la possibilità di liberare centinaia di prigionieri, compilando una lista di 600 nominativi, giudicata però dall’opposizione e dai diplomatici di gran lunga riduttiva rispetto alle duemila persone che sarebbero effettivamente incarcerate, sulla base di un’indagine compiuta da una organizzazione thailandese.

”Quanto sta accadendo a Myanmar è molto emozionante”, ha dichiarato al New York Times Priscilla Clapp, capo della missione diplomatica dell’ambasciata americana nel Paese dal 1999 al 2002. ”Si stanno muovendo verso una forma di governo più plurastico, che certo non definirei totalmente democratica, ma le cose si stano evolvendo molto rapidamente”. La Clapp ed altri osservatori avvertono però che i cambiamenti, addirittura superiori alle aspettative del popolo di Myanmar ed all’estero, restano tutti da verificare. Osserva la Clapp: ”Una transizione di questa portata è una ricetta per l’instabilità. Potrebbe dar luogo ad un colpo di stato, o una controrivoluzione”.

L’amministrazione Obama sta considerando altre iniziative per sostenere i cambiamenti emergenti ed incoraggiarne altri, come la creazione di un genuino sistema politico democratico e la fine delle violenze contro le minoranze etniche. Il tutto strettamente coordinato con il Congresso di Washington, altri Paesi, inclusi membri dell’Unione Europea, e l’opposizione a Myanmar. ”Ci muoveremo passo per passo – dice la Clapp – perchè non siamo ancora del tutto sicuri che le riforme siano sostenibili e irreversibili”.

Che sia arrivata la democrazia non ne sono neanche convinti molti a Myanmar, e la stessa opposizione nutre seri nubbi. Dice un suo esponente, Win Tin: ”I Paesi occidentali si rallegrano, ma credo che sbaglino. Dovrebbero essere molto cauti per accertare se quello che il governo chiama cambiamento sia reale e genuino”. Ad essere cauta è lo stesso segretario di stato Hillary Clinton, che ha definito ”benvenuti” i cambiamenti ma ha sottolineato che ci sono molti problemi sul tappeto. ”Siamo preoccupati – ha detto – dal trattamento delle minoranze etniche, dai 2000 prigionieri politici e dalle relazioni di Myanmar con la Corea del Nord”. Ha poi aggiunto, come monito, che nei giorni scorsi un giornalista di 21 anni è stato condannato a Myanmar a 10 anni di prigione senza che si sappia il perchè, ma che si può facilmente immaginare.