
Genova, andiamo a scoprire la Superba del futuro, che gli occhi bendati di Salis e Piciocchi non vedono - Blitzquotidiano.it (foto di Sergio Gandus)
A Genova neppure la campagna elettorale più lunga che si ricordi, inchiodata a schemi fissi di scontro destra-sinistra, scopre le grandi novità che la città fa emergere dal suo tessuto mutante di città che ne contiene tante altre, come scriveva niente meno che Italo Calvino.
Silvia Salis, la ex campionessa di lancio del martello, candidata a sorpresa oramai digerita per un centro sinistra sempre più largo, corre da atleta allenata lungo la pista tradizionale della sinistra antica e moderna: il territorio, il lavoro, la casa, i bisogni basici di un popolo invecchiato, demograficamente in ribasso, la democrazia di base, i Municipii, le grandi opere solo se con ricaduta per tutti.
Due visioni per Genova

Pietro Piciocchi, il vice sindaco reggente, dopo otto anni di governo con Bucci, candidato in anticipo di un centro destra che sconta molti tradimenti, macina il suo programma con deviazioni minime, ma significative dallo standard grandioso ottimista di Bucci, grandi opere pubbliche tutte da perfezionare e ultimare, visione larga con attenzione maggiore di prima all’assistenza e rivendicazione della svolta rivendicata dal regno potente e volitivo di Bucci Marco, il predecessore che non lo molla anche oggi e lo segue e qualche volta lo anticipa come un’ombra, dal suo trono di presidente della Liguria.
Una città che nessuno vede
Ma Genova non è più quella città lì, che i due candidati e la folla dei minori pretendenti, che sono già dieci, inseguono, equivocando il modello della ex Superba.
Non è né una città in ribasso demografico e strainvecchiata, infiltrata da una immigrazione oramai capillare che stravolge le classi scolastiche della prima infanzia paurosamente diminuite, che ha bisogno di grandi industrie o di navi gigantesche piene di container o di folle di croceristi che sbarcano su dighe gigantesche.
Nè è una città che risolverà definitivamente il suo salto in avanti, promesso dal mood bucciano, quando ci sarà appunto la grande diga foranea nuova, anno 2029 e finalmente quando arriverà il Terzo Valico, linea veloce ferroviaria da Milano a Genova, anno 2030 e non 2026, come promesso dalla coppia Salvini-Rixi. O quando ci sarà il Tunnel sub portuale, neppure incominciato a scavare o la funivia dal Porto Antico ai forti sulle alture, che ora perfino il Piciocchi ridimensiona, temendo le rivolte dei comitati.
Genova è già una città imprevista, come ha scritto con arguzia Carlo Antonelli, genovese di adozione, regista, musicologo, pubblicista moderno.
E non solo perché contiene tanti modelli di se stessa, che si stanno sovrapponendo uno all’altro, un po’ cancellando un po’, ricostruendo l’immagine classica.
È la città che strabocca di denaro liquido, come nei secoli d’oro, ma non sa dove piazzarlo perché la classe non più dirigente che lo detiene o quella meno potente che lo deposita nei forzieri, fatica a intravvedere gli orizzonti di impiego che ci sono e che la politica, elettorale o no, accecata dai suoi riti non vede.
Le assicurazioni non sono mai state così ricche e fruttuose come oggi, alimentate dalla geopolitica in mutazioni, guerre comprese, dove i rischi da pagare centuplicano.
E chi c’è più bravo in questo ramo dei genovesi che le hanno inventate e che ancora le coltivano, le assicurazioni, primeggiando.
In questo senso i liquidi di queste operazioni rimpinguano i conti correnti e fanno apparire uno scenario finanziario, che è lo stesso di secoli fa. Con la differenza che allora i dobloni sapevano come impiegarli e oggi no, anche perché qui non c’è più neppure una banca che possa impegnarsi in questa operazione delicata.
Genova non è mai stata cosi appetibile, metro quadro per metro quadro, con i valori immobiliari scesi in picchiata.
Ma per ora scoprono questi affari solo singoli acuti osservatori, prevalentemente artisti o assetati di affacci sul mare, che incominciano a arrivare in città e a concludere affari immobiliari in zone anche popolari, intuendo un futuro. Basterebbe che arrivasse quel treno veloce, appunto il Terzo Valico, con il quadruplicamento della linea ferroviaria Milano- Voghera per completare tutta la linea, che esce dalle gallerie del Terzo Valico, 37 chilometri nella pancia dell’Appennino e poi quel percorso intasato dai pendolari Pavia-Milano…
Se arrivasse quel treno da trentacinque minuti da Milano assisteremmo a un fenomeno che pochi imprenditori acuti già misurano.
A Milano i prezzi delle case in centro sono diventati impossibili e un ceto medio alto deve trasferirsi e preferirebbe abitare a quaranta minuti, in una città vivibile come Genova, piuttosto che infossarsi a Garbagnate, a Lumezzane o nella anonima e triste periferia milanese. Dove è meglio vivere la pensione o i redditi di una vita di lavoro?
A Genova le occasioni fioccano, in un quadro immobiliare che si è svuotato come la decrescita demografica e l’invecchiamento aggressivo.
Genova sta vivendo anche lo svuotamento delle generazioni più anziane che si estinguono: calano non solo i quarantenni in fuga verso aree più produttive, ma anche le generazioni sopra i settanta….Ma nessuno se ne accorge.
Le nuove stratificazioni demografiche e immigratorie modificheranno lo status della città come nessuno per ora misura, anche se qualche segnale dovrebbe essere colto.
Cosa vuol dire che Fincantieri sta producendo e produrrà sempre più navi, se Trump non rompe tutto, e assume operai a centinaia, non trovando spesso le competenze giuste, pescate tra gli immigrati?
E cosa vuol dire che Ente Bacini quadruplica il suo fatturato e che ora nelle Riparazioni Navali, vero must genovese, entrano anche le flotte più piccole, in settori dove la competenza locale è indiscussa e la fama anche alimentata da un Salone Nautico, che dopo anni di declino sembra essere risorto.
Allora a cosa bisogna badare nei programmi della città, se non a una visione che sia equilibrata nel difendere competenze industriali marittime, modificazioni sociali legate alle generazioni e cura di un patrimonio immobiliare così appetibile, aggiornamenti ambientali, curando il verde, gli affacci al mare e un centro storico che non può più essere solo il terreno degli avanzi di una prostituzione millenaria oggi globale e dello spaccio dell’ultima droga comparsa sul mercato mondiale e sbarcata nel porto?
E poi ci sono l’high tech, il ramo industriale dopo le navi più forte oggi a Genova, tanto è vero che il futuro presidente degli Industriali sarà il suo più importante rappresentante.
E c’è una nuova generazione che cresce a dispetto dei Santi e che non è solo quella che scappa a studiare, a fare master fuori dai confini. E’ una generazione pop e post pop, frollata dalla melanconia nostalgica, l’understatement genovese per generazioni, ma rilanciata dalla convinzione che Genova sia un po’ un laboratorio, ricco di soluzioni, che i “grandi” non vedono.
I bagliori impareggiabili del mare sullo sfondo, della Riviera che offre opportunità, anche quelle gastronomiche perché no, l’entroterra che era proibito per sfiga e ora promette rilanci di ogni tipo, l’IT dei robot che escono uno dopo l’altro, Erzelli e la medicina del futuro, che san Raffaele preferisce studiare qui nel nuovo ospedale con a fianco la facoltà di Ingegneria…
Insomma carne al fuoco ce ne sarebbe ma Salis e Piciocchi corrono fuori pista. Come se niente fosse, ignorando gli “imprevisti.” E quel 50 per cento che non vota magari è sull’altra pista.