Si può definire democratico il Pd, un partito che “licenzia” un vice segretario provinciale solo perché sul fine vita la pensa in modo diverso della forza in cui milita?
Dove finiscono tutti gli insegnamenti del vertice quando affermano che nel Pd si discute e si dibatte anche quando gli orientamenti divergono?
“Le correnti vanno bene, sono sopportabili, non tutti possiamo avere gli stessi pareri, sarebbe triste per un partito che si definisce appunto democratico “, sostengono in via del Nazareno.
Poi la realtà dei fatti dimostra che è vero il contrario. Quando si è contro, anche per una sola e semplice votazione, devi lasciare il tuo posto perché le regole sono rigide e non ammettono eccezioni.
Tutto questo è accaduto ad una consigliera regionale del Veneto, che non ha permesso che il “fine vita” proposto dal governatore Luca Zaia fosse approvato.
La donna si chiama Anna Maria Bigon, ha 56 anni e suo padre avrebbe voluto che prendesse i voti (religiosi) e diventasse una suora. “No, io avevo la politica nel sangue e non ho arretrato nemmeno di un metro anche se in famiglia non la pensavano come me”.
Fatto sta che dopo pochi giorni dal misfatto, il segretario provinciale Franco Bonfante ha emesso il suo verdetto. Fuori la vice Bigon. “Non ho condiviso la sua decisione, non si poteva far finta di nulla. La libertà di scelta d’accordo, ma bisogna anche tener presenti le conseguenze politiche che un simile atto comporta”.
Ecco dunque come la pensano i dem. Nel partito le divergenze sono tante, ogni giorno nasce una nuova “coalizione” che fa traballare la poltrona di Elly Schlein.
Però, i permessi non debbono oltrepassare certi confini. Insomma, democratici si, ma fino ad un certo punto.
Dunque, si ha voglia a dire e a ripetere che “ogni opinione sia la benvenuta” perché così non è. Il caso della consigliera Bigon ne è una dimostrazione lampante.
In via del Nazareno si continua a sostenere che le diversità fanno bene, aiutano a trovare la via maestra fino a che non si toccano certe corde e tutto finisce come in una qualsiasi altra forza politica.
E’ proprio vero che nel Pd non si riesce mai a trovare un minimo comune multiplo.
Da una parte i moderati e i vecchi Dc, sempre favorevoli ad una linea centrista; dall’altra i progressisti a tutto campo, guidati dalla segretaria che sogna un partito che più a sinistra non si può.
Si possono definire gli ultra di Elly? Per carità: nessun paragone con il tifo calcistico, ma certo è che le acque sono agitate e c’è chi aspetta con trepidazione le elezioni europee per fare i conti.
Se infatti il voto dovesse andar male e scendere al di sotto del famoso venti per cento, per la Schlein sarebbero guai seri ed il suo posto sarebbe davvero in bilico.
I più accaniti sostenitori di un cambio di linea hanno già il nome pronto per la poltrona di via del Nazareno: Paolo Gentiloni, assolutamente propenso a lasciare l’Europa pur di guidare un partito in cui è cresciuto e che gli ha dato tanto.
Anche il caso della consigliera provinciale Anna Maria Bigon ha scatenato l’ennesima polemica. “Mezzo Pd è con me”, dice con orgoglio. “E’ stata una decisione solo mia che però ha avuto il supporto di parecchi amici.”
Poi sferra l’attacco: “Invece di prendersela con me, il presidente Zaia avrebbe fatto bene a capire come mai mancavano 25 voti della maggioranza”.
Non ha torto l’infedele quando afferma che qualcuno molto in alto del Pd le è stata a fianco.
Ad esempio Pier Luigi Castagnetti che fu molto vicino a Ciriaco De Mita. “Sono sconcerato”, ammette. Ed aggiunge: “possibile che gli organi superiori che vivono a Roma non ne sapessero nulla?”.
Gli fa eco un altro big del Pd, ex ministro, Graziano Del Rio, il quale si esprime con due parole: “E’ un brutto segnale”.
A via del Nazareno, il fatto sembra non sussistere. Bocche cucite e spallucce quando qualcuno vorrebbe parlarne. E’ chiaro che Elly, già subissata dai tanti problemi, si disinteressi dell’episodio.
C’è il duello con Giorgia Meloni da preparare. Il resto non conta, tanto è vero che della Bigon non c’è più traccia.
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