Il Fatto: “Matteo Renzi già col pallottoliere. Al Senato rischia grosso”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 14 Febbraio 2014 - 10:00 OLTRE 6 MESI FA
Il Fatto: "Matteo Renzi già col pallottoliere. Al Senato rischia grosso"

Matteo Renzi (LaPresse)

ROMA – “Matteo Renzi già col pallottoliere. Al Senato rischia grosso”. Questo il titolo dell’articolo sul Fatto Quotidiano a firma di Fabrizio D’Espostito: “L’orazione dell’autoincoronazione, poi la lunga notte tra trattative e proposte. Vendoliani fuori dai giochi e Alfano pressa per restare”.

Giovedì 13 è un film dell’horror ammantato di poesia. È pur sempre la vigilia di San Valentino, che oggi Renzi festeggerà da sindaco a Firenze. Il Rottamatore spara versi come crisantemi sulla tomba politica di Enrico Letta. Una citazione banale dall’Attimo fuggente: “Due strade trovai nel bosco e io, io scelsi quella meno battuta”. La direzione del Pd si tramuta in esecuzione e funerale allo stesso tempo. Il metodo di “Matteo” è spietato, per usare l’aggettivo scelto da Civati, e fa coniugare all’imperfetto tutti gli interventi di stampo comunista nordcoreano. D’improvviso Letta “governava” anziché governa. La bara è vuota perché il premier assente è un morto che cammina. I grazie si sprecano e si trasformano in un gigantesco amen, che per Renzi si trasfigura in un potente “vento in faccia”, altra lunga citazione poetica. Sangue e poesia alle tre del pomeriggio. Il segretario del Pd completa la conversione del partito al suo vangelo. Adesso dopo Shining (sempre Civati) o Giovedì 13 c’è l’Oceano Mare, antico titolo di Baricco, autore neorenziano. Cioè la navigazione tra i flutti e le trappole della Capitale.

La prima incognita è il perimetro della maggioranza. Che garanzie e numeri offrirà Renzi a Napolitano per arrivare al 2018? Il rischio è che la maggioranza sia la stessa di Letta perché l’operazione Vendola è fallita. I due, “Matteo” e “Nichi”, hanno parlato lunedì, prima che il leader del Pd andasse a cena da Napolitano al Quirinale. Al di là della Camera, dove i numeri non sono un problema, la discussione è stata tutta sul Senato. Renzi avrebbe addirittura accarezzato il progetto di sganciarsi dagli alfaniani per “autonomizzarsi a sinistra” mettendo insieme i sette senatori di Sel e almeno dieci dissidenti grillini, se non quindici. Ma la spaccatura a rischio scissione nel partito di Vendola ha bloccato tutto. In cambio il premier in pectore aveva già assecondato la principale richiesta di Sel: il reddito di cittadinanza. Nulla da fare. Anche se i renziani assicurano che almeno tre senatori vendoliani (Stefàno, Uras, De Cristofaro) più una grillina voteranno la fiducia, tra mercoledì e giovedì della prossima settimana.

A questo punto sarà determinante il sostegno del Nuovo Centrodestra di Alfano, partito governativo per vocazione altrimenti all’opposizione morirebbe appena nato. La tentazione del futuro premier è quella di escludere Alfano, già delfino berlusconiano poi tra i ministri più inefficienti e “scandalosi” di Letta. Un esempio per tutti: il caso Shalabayeva. A Ncd dovrebbero andare due ministri, Lorenzin e Lupi, ma è in corso una serrata trattativa per far rientrare Alfano dalla finestra. In ogni caso non con i gradi da vicepremier. A Palazzo Chigi Renzi non vuole vice.

Alle dieci di ieri sera il cerchio magico renziano confidava: “La cosa che più fa godere Matteo in queste ore non è la dipartita di Letta ma il silenzio dei grillini. Sono trentasei ore che non si sentono”. I primi cento giorni di Renzi a Palazzo Chigi coincidono con la scadenza delle elezioni europee e il suo obiettivo sarà “asfaltare il Movimento 5 Stelle”. Altrimenti il rischio è che dalle urne di maggio escano Grillo e Berlusconi con più del cinquanta per cento. Ma se c’è una cosa “che fa arrapare Matteo quella è la parola rischio, lui è abituato a strafare e a forzare, ci saranno tanti fuochi d’artificio, vedrete”. Chi non la pensa così è quella maggioranza silenziosa del Pd convinta che Renzi si vada a schiantare. E con una sonora sconfitta alle Europee la sua “dalemizzazione”, in senso negativo, cioè di dimissioni, sarebbe fin troppo evidente (…)