Marco Travaglio: “Il Fatto è un giornale senza padroni né partiti”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 13 Ottobre 2013 - 09:17 OLTRE 6 MESI FA
Marco Travaglio (LaPresse)

Marco Travaglio (LaPresse)

ROMA – Marco Travaglio, domenica 13 ottobre spiega in un editoriale dal titolo “Medaglie” che il Fatto Quotidiano è “un giornale senza padroni né partiti presi, che giudica di volta in volta le forze politiche elogiandole quando dicono o fanno qualcosa di buono e criticandole nel caso contrario”.

Blitz Quotidiano ve lo propone per intero:

“Ieri mattina, a leggere gli organi di partito, cioè quasi tutti i giornali italiani, il Fatto Quotidiano risultava, nell’ordine: un’accozzaglia di “somari”, il nuovo “organo del Pd” e un quotidiano che “ignora la morale”. Le tre simpatiche medaglie arrivano, nell’ordine: da Angelo Panebianco sul Corriere della Sera, house organ dell’inciucio Alfetta; dal blog di Grillo, per la penna di tal Tinazzi; e dal “filosofo” Massimo Adinolfi sulla fu Unità, foglio d’ordini del Pd che un giorno sì e l’altro pure ci dipinge come l’organo ufficiale dei 5Stelle”.

“Tutti questi signori, non essendo abituati alla libertà d’informazione e di pensiero, non possono nemmeno immaginare che esista un giornale senza padroni né partiti presi, che giudica di volta in volta le forze politiche elogiandole quando dicono o fanno qualcosa di buono e criticandole nel caso contrario. Essendo intruppati e irreggimentati, intruppano e irreggimentano gli altri. E non si accorgono che, continuando ad attribuirci padroni di destra, di centro, di sinistra, di sopra e di sotto, non fanno che esaltare la nostra assoluta libertà e indipendenza. Prendiamo Panebianco: fa parte della commissione dei 35 “saggi” (più 7) nominati da Letta Nipote e Napolitano per riscrivere la seconda parte della Costituzione, ma si guarda bene dal ricordarlo a suoi lettori, mentre difende pro domo sua il lavoro dei saggi, cioè di se stesso, citando Violante (altro “saggio”) e diffamando chi non è d’accordo con lui e ha promosso la manifestazione di ieri a Roma. Che, a suo dire, non si proponeva l’obiettivo disinteressato di difendere la Costituzione, ma quello interessato di “creare un altro (l’ennesimo) partitino politico””.

“Siccome poi il nostro giornale ha raccolto 440 mila firme di cittadini informati contro lo scassinamento dell’art. 138 e contro i progetti presidenzialisti, che in Italia hanno come padre nobile Licio Gelli, il cripto-saggio Panebianco, scrive che chi tira fuori la P2 è “un somaro patentato”. E aggiunge che i giornali (compreso il Corriere , cioè il suo) che si sono permessi di dare una notizia vera – cioè l’indagine della Procura di Bari su alcuni baroni universitari, fra cui cinque “saggi”, per aver truccato concorsi – non l’hanno fatto per informare i propri lettori, ma per una “squallida operazione mediatica di ‘character assassination ’” per colpire “l’onorabilità di persone perbene” e “delegittimare l’attività del gruppo di lavoro” di cui fa parte anche lui, anche se preferisce non dirlo. Poi c’è il mini-post del blog di Grillo, che non contesta una riga di quanto abbiamo scritto sul grave errore di Grillo e Casaleggio a proposito dell’emendamento dei 5Stelle che impone l’abrogazione del reato di clandestinità”.

“Però scrive che il Fatto “ha sostituito l’Unità come organo del Pd (menoelle, ndr)”, insomma è un giornale di “falsi amici”, da “non acquistare”, come fa l’estensore della pregiata prosa, che rivela di non leggere “nulla” (e si vede). È la tipica abitudine partitocratica di classificare i giornali non per quello che scrivono, ma per il loro grado di “amicizia” a questa o quella forza politica. Quindi confermiamo: noi non siamo “amici” né veri né falsi di nessuno: quando qualcuno sostiene le nostre battaglie, lo sosteniamo; quando qualcuno fa o dice cazzate, lo combattiamo. Ora sarebbe divertente chiedere al Pd (meno elle) che cosa ne dica di avere come organo ufficiale il Fatto , che ha svelato per primo gli scandali del Montepaschi e dello strano conto aperto da Bersani e dalla sua segretaria ora indagata. A proposito: sul (vero) organo ufficiale del Pd, il “filosofo” Adinolfi torna ad avventurarsi pericolosamente sul terreno a lui totalmente sconosciuto – quello del diritto – a proposito dell’indulto. Fra citazioni di Catone, di Platone e – Dio lo perdoni – del Vangelo, ripete il ritornello “meglio un colpevole fuori che un innocente dentro”, purtroppo non attribuibile né a Catone, né a Platone, né al Vangelo. Ma purtroppo è totalmente estraneo al tema dell’indulto, che è uno sconto sulle pene derivanti da condanne definitive, dunque non riguarda un solo innocente: solo colpevoli. Adinolfi, povero tapino, ci era già cascato l’altro giorno, quando lacrimava sui “poveri cristi” in custodia cautelare: con l’indulto non ne uscirà neppure mezzo, visto che si applica solo ai condannati definitivi. Lo sventurato conclude che “la proposta Manconi esclude la cumulabilità dell’indulto” e questa sarebbe la prova che Berlusconi non c’entra. Ora, la proposta Manconi si avvale, al momento, di un solo voto (quello di Manconi), mentre i provvedimenti di clemenza richiedono la maggioranza parlamentare dei due terzi”.

“Ma soprattutto la non cumulabilità dell’indulto può al massimo escludere che Berlusconi possa usufruirne per la condanna Mediaset, già decurtata di tre anni dall’indulto del 2006; il Cavaliere potrà invece spendere il nuovo bonus per tutte le condanne che dovessero piovergli sul capo nei processi Ruby, Ruby-ter, De Gregorio, Tarantini e così via, visto che non risultano esclusi da alcuna proposta allo studio i reati di concussione, corruzione, corruzione giudiziaria e induzione alla falsa testimonianza. Ma questi, forse, sono concetti troppi complicati per un filosofo. Il quale, fra l’altro, deve soffrire di uno sdoppiamento della personalità. Ancora ieri, infatti, irrideva al principio del “chi sbaglia paga”, considerato “r e a z i o n ario” oltreché contrario all’i n s e g n amento di Platone, di Benjamin e del Vangelo, al punto da indurre l’A d inolfi a promettermi “in lettura qualche libro di dottrine morali per ampliar( mi) gli orizzonti”. Chissà se è lo stesso Massimo Adinolfi che un mese fa, il 7 agosto 2013, prima di ricevere le nuove disposizioni di Napolitano e dunque del Pd su amnistia e indulto, scriveva sull’Unità: “Quanto poi alla funzione della pena, Beccaria spiegava che ‘il far vedere agli uomini che si possono perdonare i delitti, o che la pena non ne è la necessaria conseguenza, è un fomentare la lusinga dell’i mpunità, è un far credere che potendosi perdonare, le condanne non perdonate sian piuttosto violenze della forza, che emanazioni della giustizia’”.

“Il principio è chiaro, ed è un principio di giustizia: se le pene possono essere cancellate dopo che sono state comminate, allora è perché s’intende che provenivano non dalla fonte legittima del diritto, ma dall’esercizio discrezionale e violento di un potere”. E ancora: “Ma nessuno è innocente per definizione; nessuno è al di sopra della legge. E perfino nell’ipotesi che Silvio Berlusconi sia stato vittima di un terribile errore giudiziario, perfino in questo caso dovrebbero i maggiorenti del Pdl, dovrebbe il Cavaliere prima di tutti considerare più alto il valore dei principi liberali del nostro ordinamento che non la sua conclusa vicenda giudiziaria, dopo il vaglio di dozzine di magistrati”. Ergo “bisogna difendere regole del diritto e certezza della pena prima di ogni altra cosa”. Niente Benjamin, niente Platone, niente Vangelo, quella volta. Poi è giunto il contrordine di scuderia e tutti gli Adinolfi si son messi sull’attenti. Infatti l’altro giorno il poverino scriveva: “Travaglio sarebbe in grado di tirare in ballo Berlusconi anche in caso di collisione di un meteorite sulla Terra: tutti scappano, vuoi vedere che il meteorite è precipitato per consentire a Berlusconi di farla franca?”. Ma c’è un equivoco: non siamo noi che, se cade un meteorite, pensiamo che sia caduto perché Berlusconi la faccia franca. Sono loro che la fanno fare franca a Berlusconi e poi dicono che è stato un meteorite”.