Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Rapina a Rai disarmata”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 1 Giugno 2014 - 08:01 OLTRE 6 MESI FA
Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: Rapina a Rai disarmata

Matteo Renzi (LaPresse)

ROMA – “Rapina a Rai disarmata”, questo il titolo dell’editoriale a firma di Marco Travaglio sulle pagine del Fatto Quotidiano di domenica 1 giugno:

Immaginiamo per un attimo se B. fosse ancora premier e, per regalare 80 euro a milioni di lavoratori il giorno dopo le elezioni (ma annunciandoli in campagna elettorale), prelevasse forzosamente 150 milioni di euro dalle casse della Rai. Allo sciopero dei sindacati e dei lavoratori si unirebbero immantinente i partiti del centrosinistra, strillando al conflitto d’interessi e all’immonda rapina che regala ossigeno all’altro protagonista del duopolio collusivo: la sempre più boccheggiante Mediaset.

Invece la rapina l’ha firmata Renzi, dunque tutto tace. E non c’è giornale – di destra, di centro e di sinistra – che non irrida alla protesta dei dirigenti e dei lavoratori di Viale Mazzini, che dovrebbero rassegnarsi senza batter ciglio a un brutale prelievo che scassa i conti dell’azienda pubblica e costringe i vertici a licenziare. Intendiamoci: nonostante i timidi sforzi di Tarantola & Gubitosi, due tecnici che hanno approfittato dell’allentarsi della morsa dei partiti per mettere un po’ d’ordine (mai abbastanza), gli sperperi restano enormi e nessuno intende difendere il carrozzone. Ma gli sprechi non si combattono così. Così si distrugge l’azienda, a tutto vantaggio della concorrenza, che ha un nome e un cognome: Silvio Berlusconi, quello a cui Renzi esternò “profonda sintonia” dopo il “patto del Nazareno” che – in barba a tutte le desegretazioni di carte preistoriche – resta occulto per tutti fuorché per i due firmatari. Chi – giustamente – inorridisce per il pranzo Grillo-Farage potrebbe spendere qualche parola anche sul patto Matteo-Silvio sulle spoglie della Costituzione repubblicana. Se Renzi volesse ridurre il grasso in eccesso in Viale Mazzini, avrebbe dovuto anzitutto svelare finalmente quali sono i suoi piani per la tv di Stato (dire “fuori i partiti dalla Rai”, ora che tutti i dirigenti messi lì dai partiti sono diventati o stanno diventando renziani, è ridicolo). E poi fissare – in quanto azionista di maggioranza attraverso il Tesoro – obiettivi di risparmio per l’anno prossimo, non per quello in corso.

A inizio 2014 l’azienda aveva presentato il bilancio di previsione, sostanzialmente in pareggio, nonostante la gigantesca evasione del canone (che nel 2014 aumenterà di altri 23 milioni) e il suo mancato adeguamento all’inflazione (perdita secca di altri 22 milioni grazie a Letta jr.), senza contare il taglio dei costi operativi per le partecipate di Stato (che alla Rai costerà altri 50-70 milioni). Ma a quel punto è arrivato il diktat di Palazzo Chigi (incostituzionale, secondo il lungo parere del giurista Alessandro Pace), che battendo cassa per altri 150 milioni ha tagliato le gambe al cavallo. Nemmeno una parola sulle prospettive dell’azienda e sulla lotta all’evasione del canone (la parola “evasione” era impronunciabile prima delle elezioni e continua a esserlo dopo). Solo sprezzanti intimazioni a cedere una quota di RaiWay, la società che controlla le torri di trasmissione, e a chiudere qualche sede regionale. La privatizzazione di RaiWay, se imposta in tempi brevi (che poi andranno comunque al 2015, previa quotazione in Borsa), è sinonimo di svendita di un bene pubblico: chi è costretto a dismettere un ramo d’azienda, e in tempi brevi, deve subire il prezzo degli acquirenti, e non viceversa. Quanto alle sedi regionali, sappiamo tutti che – salvo eccezioni – sono ridotte a caravanserragli partitocratici, con notiziari specializzati nella sagra della porchetta e nella fiera del tartufo. Ma per conoscerne i motivi Renzi dovrebbe rivolgersi ai suoi alleati di partito, di governo e di riforme. E la soluzione non è chiuderle, ma riportarle a un minimo di professionalità ed efficienza. Magari radendo al suolo la legge Gasparri che invece, come l’evasione e il conflitto d’interessi, resta tabù (…)