“Marò in ambasciata fino al ritorno in Italia”: Palmisano, giurista, sul Messaggero

Salvatore Girone e Massimiliano Latorre
Salvatore Girone e Massimiliano Latorre

ROMA – Nel caso dei marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, da due anni ostaggio dell’India per avere fatto il loro dovere a tutela di una nave italiana in acque internazionali, l’Italia si trova a un bivio: accettare o no il processo ai due militari, da parte di un tribunale indiano?

Per trovare una risposta, Marco Ventura del Messaggero si è rivolto a Giuseppe Palmisano, direttore dell’Istituto di studi giuridici internazionali del Cnr, le cui parole non lasciano dubbi: “Io consiglierei una azione estrema. Accoglierei i marò nell’ambasciata e non li farei più uscire se non dopo aver ottenuto un salvacondotto per l’Italia. Bisogna partire dal presupposto che l’Italia ha ragione, che l’India sta commettendo un illecito internazionale, oltretutto da due anni». La violazione riguarderebbe non tanto i diritti umani o la Convenzione sul diritto del mare di Montego Bay, quanto «il principio fondamentale dell’immunità funzionale, la norma di diritto internazionale generale per cui uno Stato non può sottoporre a giudizio penale organi di un altro Stato che abbiano agito nell’esercizio delle funzioni. A risponderne dev’essere lo Stato, non i singoli, con la sua giurisdizione». I marò andrebbero processati in Italia. Per Palmisano la violazione della libertà vigilata sarebbe una contromisura. «Se l’India non ha la stessa nostra disposizione amichevole e negoziale nel risolvere il caso, l’Italia ha il diritto di ricorrere a contromisure». Si può partire da «ritorsioni come il richiamo dell’ambasciatore, che c’è già stato, e dalla minaccia di interruzione delle relazioni diplomatiche. Poi si può passare a contromisure commerciali come la non consegna di forniture già pagate dall’India o il congelamento di beni indiani in Italia». Se l’India reagisse? «Non ne avrebbe il diritto. La contromisura alla contromisura è vietata. Questo sarebbe il modo più chiaro per dire che l’Italia non riconosce la procedura indiana». L’India potrebbe dichiarare l’ambasciatore «persona non grata», ma non potrebbe «violarne l’immunità neppure a titolo di contromisura».
L’ALTERNATIVA
Certo, Roma potrebbe anche accettare il processo e dopo la condanna chiedere che i marò scontino la pena in Italia in base all’accordo tra i due Stati del luglio 2012 sul trasferimento delle persone condannate. «Ma significherebbe riconoscere la condanna, non tornerebbero con onore. Ma potrebbe anche essere il modo più rapido per farli tornare a casa».
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