Monti sogna tagli da 100 miliardi e litiga con Catricalà. Un cardinale col corvo

Una nuova crepa si è aperta nel Governo con lo scontro plateale sulla giustizia tra Mario Monti, presidente del Consiglio e il suo braccio destro a palazzo Chigi, Antonio Catricalà, ma solo Repubblica dà conto nella prima pagina, a una colonna ma ne parla. Invece i giornali di oggi sembrano uscire in mondi diversi:  “Tasse e tariffe, imprese sotto tiro” del Sole 24 Ore contrasta  con “Il Governo apre il borsellino” di Italia Oggi e “Niente Imu, ora si può” del Giornale, mentre i due primi quotidiani sono mesmerizzati dal Vaticano. Su Repubblica si legge: “Ecco chi sono i corvi del Vaticano. Parla una delle spie: Bertone ha troppo potere, noi vogliamo difendere il Papa”; sul Corriere della Sera: “Un cardinale tra i sospettati. È un italiano. Il maggiordomo sta parlando”. Fa eco anche il Messaggero, che, uscendo a Roma, si può capire: “Un cardinale guidò il corvo. L’inchiesta punta sui mandanti. Il Papa: viviamo una Babele”.

Poi c’è la Stampa che apre con “L’Onu condanna la Siria”, anche se la Russia ha fatto “ammorbidire il testo”, memore degli anni della Guerra fredda in cui la Siria era innominabile anche se era santuario dei peggiori terroristi internazionali e i giornali si giravano dall’altra parte e Hafez Assad, padre dell’Assad di oggi, Bashar, faceva ammazzare un numero da 10 a 50 mila uomini donne bambini nelle stesse zone del nord divise da storia, cultura, religione e anche ricchezza dal sud di Damasco e dalla setta degli Assad. Per fortuna che c’è la Russia, vien da dire, come la stessa Stampa fa capire intervistando Gilles Kepel, esperto francese di Medio Oriente: “A nessuno conviene che il regime crolli, è diventato un putno di equilibrio e il dopo fa più paura del presente”. Vi siete dimenticati di quando eravate tutti esaltati per la Primavera araba, per la caduta di Gheddafi e di zio Mubarak? I giornali italiani si vergognano talmente del loro entusiasmo sbagliato che quasi non parlano più di quel che ora succede, mentre i più avveduti sono costretti a fare il tifo per l’ex primo ministro di Mubarak contro l’estremista del Fratelli Musulmani alle elezioni in Egitto.

Il Secolo XIX di Genova, per non sbagliare, offre ai genovesi la scelta fra corvo (“tremano i cardinali”) e Siria. Gli fa eco il Mattino di Napoli che però si limita a un solo “cardinale nel mirino”.

La sparata del Giornale su Imu e casa prende spunto da uno dei tanti numeri da lotteria che escono quasi ogni giorno dal Governo. Oggi a darli è il ministro Piero Giarda, che esce anche dai numeri del lotto, che arrivano fino a 90: “Spesa, tagli su 100 miliardi” titola grosso il Messaggero. Non è una novità, 100 è un numero ricorrente nella comunicazione del Governo, anche se Giarda era partito da 4 e non si era mai spinto così in alto. Degli altri giornali, nessuno gli dà quel credito e solo la Stampa ne dà notizia in un sommarietto sotto il titolo: “Scuole, caserme e trasporti: arriva il piano-città. Interventi su aree degradate e alloggi popolari”. Sergio Rizzo sul Corriere della Sera porta acqua al mulino della propria polemica: “Soffocati dalla spesa e 100 miliardi da tagliare”.

Ma il Sole 24 Ore, che dal nuovo presidente della Confindustria sembra avere avuto nuovo vigore, ci fa tornare sobri: “Nella sanità una giungla di costi. Sulle siringhe differenze di prezzo del 135%, sulle protesi fino a 12 volte”. E noi paghiamo le tasse anche per questi sconci qui. Se uno vuole capire perché Monti, il paladino del Fisco senza sfumature, è stato contestato due volte in una settimana. Ma erano leghisti: sì, ma nonostante il loro parlar di secessione (guardino la Siria e si calmino) anche i leghisti sono cittadini italiani.

E con tono ben diverso dagli schiamazzi di Bergamo (che peraltro è una delle città più civili oltre che ricche in Italia), Fabrizio Forquet sul Sole 24 Ore sbotta: “Fisco e crescita, scaduto il tempo delle promesse. In un Paese dove il total tax rate a carico delle Pmi raggiunge il 68,5%, contro il 46,7% della Germania, parlare di crescita è una provocazione”. C’è di più, perché tra aumenti fiscali e tariffari una piccola o media impresa rischia di pagare nel 2012 fino al 17-18 in più rispetto al 2011 e allora “la reiterata pronuncia da parte di esponenti del Governo del solito rosario di buone intenzioni per la crescita diventa un insulto”.

La vera notizia del giorno, di quelle che appassionano pochi ma se fosse stata registrata ai tempi di Berlusconi avrebbe fatto l’apertura di molte prime pagine è quella dello scontro fra Monti e Catricalà che, per capirla bene, equivale a Berlusconi che avesse smentito Gianni Letta.  Ieri mattina Repubblica ha dato una notizia tutt’altro che marginale: nella riforma della Giustizia sarebbe stato previsto un cambio di peso nella sezione disciplinare del Consiglio superiore della Magistratura, dando la maggioranza ai componenti “laici”, una autentica rivoluzione che avrebbe tolto ai magistrati italiani la facoltà di cantarsela e suonarsela senza essere sottoposti, praticamente unici al mondo, a un potere esterno.

All’ora di pranzo un comunicato a nome di Monti: “Con riferimento ad alcune ipotesi di riforma dell’organismo disciplinare della magistratura ordinaria, si precisa che il Presidente del Consiglio aveva già da tempo ritenuto tale iniziativa inopportuna e non percorribile, escludendola conseguentemente dai provvedimenti all’esame del CdM”.

Oggi Repubblica pubblica proprio sotto quello sul corvo del Vaticano questo titolo: “Lo stop di Monti sulla riforma del Csm: iniziativa inopportuna. Comunicato di palazzo Chigi, polemiche su Catricalà”. L’articolo ha questo inizio: “Ha un nome e un cognome, quello di Antonio Catricalà, la riforma della gistizia disciplinare uscita con tanto di timbro e protocollo da palazzo Chigi. Bocciata da Monti con cinque righe”. Catricalà non è Quidam: è stato segretario generale della Presidenza del Consiglio e presidente dell’Antitrust ed è lo snodo chiave del Governo Monti: prima di lui si ricordano sottosegretari intrinseci e intimamente legati ai vari presidenti, Arturo Parisi a Romano Prodi, Marco Minniti a Massimo D’Alema, Gianni Letta a Berlusconi.

L’articolo, a pag.11, la racconta un po’ diversa, con pareri chiesti e ricevuti non più tardi del 24 maggio a e da Corte dei Conti e Consiglio di Stato. Ma  è anche possibile che anche in questo caso per Monti si trattasse di un nuovo avvenimento a sua insaputa. Catricalà, riferisce Repubblica, minimizza, anche se su di lui, giovedì, “erano già caduti i fulmini del Colle” (in italiano: il presidente della Repubblica). Ma, avverte Repubblica (il quotidiano) “lo scontro sulla giustizia disciplinare è assai più grave e rischia di arroventarsi sulle carte”. A parte l’innovazione linguistica degna di Gabriele D’Annunzio, il concetto è chiaro.

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