Paul Krugman: anche il Nobel crede al “grande complotto” contro la Francia

di Redazione Blitz
Pubblicato il 15 Novembre 2013 - 06:45 OLTRE 6 MESI FA
Paul Krugman: anche il Nobel crede al "grande complotto" contro la Francia

Paul Krugman: anche il Nobel crede al “grande complotto” contro la Francia

ROMA – Anche Paul Krugman, Nobel per l’economia ed editorialista del New York Times, crede a un “grande complotto” contro la Francia.

Da parte di chi? Agenzie di rating, autorevoli riviste/emittenti come The Economist o Cnn, e soprattutto il grande partito dell’austerità, con importanti esponenti in Commissione europea come Olli Rehn.

L’articolo originale di Krugman, “The Plot Against France”, è stato tradotto in italiano da Anna Bissanti per Repubblica:

“VENERDÌ scorso l’agenzia di rating Standard & Poor’s ha declassato la Francia. La notizia è arrivata in prima pagina sui giornali e molti articoli indicano che la Francia è in crisi. Ma i mercati non hanno fatto una piega: gli interessi passivi francesi, molto vicini al loro minimo storico, non si sono quasi mossi. Ma allora, che cosa sta succedendo?

La risposta è che la decisione di S&P deve essere contestualizzata nell’ambito della più vasta politica di austerità fiscale. E mi riferisco a quella politica, non a quella economica. Perché il complotto contro la Francia — può sembrare che io sia un po’ faceto, ma in verità c’è molta gente che cerca di screditare quel Paese – è un’evidente dimostrazione del fatto che in Europa, come in America, i predicozzi fiscali non si preoccupano affatto dei deficit. Anzi, sfruttano i timori di indebitamento per portare avanti un’agenda ideologica. E la Francia, che si rifiuta di stare al gioco, è diventata il bersaglio di un’incessante propaganda negativa.

Lasciate che vi dia un’idea di ciò di cui sto parlando. Un anno fa la rivista The Economist dichiarò che la Francia era «la bomba a orologeria nel cuore dell’Europa», con problemi che al confronto avrebbero reso trascurabili quelli di Grecia, Spagna, Portogallo e Italia. Nel gennaio 2013, il direttore generale senior di Cnn Money ha dichiarato «in caduta libera» la Francia, «nazione che si avvia verso una Bastiglia economica». Sentimenti assai simili a questi sono reperibili in tutte le newsletter di economia.

Tenuto conto di questo livello del discorso, uno si accosta ai dati riguardanti la Francia aspettandosi il peggio, per scoprire invece che si tratta sì di un Paese in difficoltà economica – e quale Paese non si trova in tale condizione? – , ma che in linea generale se la passa bene o forse addirittura meglio della maggior parte dei suoi vicini, con l’unica notoria grande eccezione della Germania. Di recente la crescita francese è stata apatica, ma molto superiore, per esempio, a quella dei Paesi Bassi che hanno tuttora un rating da tripla A. Secondo le stime standard, una decina di anni fa i lavoratori francesi erano in effetti un po’ più produttivi delle loro controparti tedesche. E indovinate un po’? Lo sono ancora.

Nel frattempo, le prospettive fiscali della Francia appaiono chiaramente non preoccupanti. Il deficit di bilancio è sceso bruscamente e di molto dal 2010, e il Fondo monetario internazionale si aspetta un rapporto debito/Pil più o meno stabile per il prossimo quinquennio.

Che dire della zavorra sul lungo periodo rappresentata da una popolazione sempre più anziana? In Francia il problema c’è, come del resto c’è in tutte le nazioni benestanti. Ma la Francia ha un tasso di natalità superiore a quello della maggioranza dei Paesi europei, in parte grazie ai programmi statali che incoraggiano le nascite e semplificano la vita alle madri lavoratrici, al punto che le proiezioni demografiche sono di gran lunga migliori rispetto a quelle dei Paesi vicini, Germania inclusa.

Intanto il sistema sanitario francese, meritevole di attenzione perché assicura prestazioni di alta qualità a spesa contenute, costituirà nell’immediato futuro un notevole vantaggio fiscale.

Attenendoci alle sole cifre, pertanto, è difficile capire perché la Francia si meriti cotanto biasimo. Ma allora, ancora una volta, che cosa sta succedendo?

Ecco un primo indizio: due mesi fa Olli Rehn, commissario europeo per le questioni economiche e monetarie – nonché uno dei principali promotori delle rigide politiche di austerità – ha disapprovato la politica fiscale francese, apparentemente esemplare. Perché? Perché essa si basava su aumenti fiscali più che su tagli alle spese – e gli aumenti fiscali improvvisi, ha dichiarato, «annienterebbero la crescita e frenerebbero la creazione di posti di lavoro».
In altre parole, non conta ciò che ho detto in tema di disciplina fiscale: si suppone che voi dobbiate smantellare le reti di sicurezza”. […] Continua qui