Poste in Borsa: tesoro o disastro? La parziale privatizzazione sui giornali

di Redazione Blitz
Pubblicato il 27 Gennaio 2014 - 08:50 OLTRE 6 MESI FA
Poste in Borsa: tesoro o disastro? La parziale privatizzazione sui giornali

Poste in Borsa: tesoro o disastro? La parziale privatizzazione sui giornali

ROMA – Le Poste italiane hanno un tesoro nascosto, 1,7 miliardi di euro che vantano come credito dallo Stato italiano ma non solo ottenere quel denaro dal Tesoro sarà un’impresa titanica, anche tutta l’operazione definita, un po’ impropriamente, privatizzazione, sarà un disastro.

Sono questi due esempi di quel che si legge sui giornali, nel caso Messaggero e il Fatto, sull’evento che ha aperto l’anno della finanza pubblica, quello delle Poste  da privatizzare, o meglio da cedere in parte sul mercato mantenendone lo Stato il saldo controllo.
Scrive Andrea Bassi sul Messaggero:
Nei giorni scorsi, nelle lunghe riunioni a Palazzo Chigi propedeutiche all’avvio dell’operazione di apertura del capitale delle Poste, si è parlato anche di questo. Se il governo vuol portare l’azienda sul mercato deve inziare anche ad onorare con puntualità i suoi debiti con il gruppo. Che, come detto, sono tanti. Praticamente la metà dei 3,6 miliardi di crediti commerciali iscritti nel bilancio delle Poste.

Ci sono, per esempio, 848 milioni di euro che ministeri ed enti pubblici devono alla società di Sarmi per servizi di corrispondenza e delegati. Nella cifra ci sono compresi anche 237 milioni di euro circa, per le riduzioni tariffarie per gli editori per gli anni che vanno dal 2001 (addirittura prima dell’introduzione dell’euro) fino al 2010.
Senza contare altre consistenti voci di soldi avanzati da Inps e Agenzia delle Entrate. Poi ci sono i crediti verso «controllanti», ossia il ministero dell’Economia. Si tratta di altri 872 milioni di euro, 616 dei quali per il servizio universale, ossia il recapito e la presenza degli uffici postali in tutte le aree del Paese, comprese quelle più disagiate. Dei 616 milioni, 350 riguardano il 2012, altri 50 milioni il contratto di servizio del 2009-2001, ma anche in questo caso i crediti vanno ancora più indietro nel tempo.
Poi ci sono anche 152 milioni di euro per le riduzioni tariffarie e le agevolazioni elettorali. «Crediti», ammette la stessa nota tecnica di Poste, «privi di copertura nel bilancio dello Stato». Tanto che i crediti verso il ministero dell’Economia sono già stati svalutati di 66 milioni, mentre quelli verso le altre pubbliche amministrazioni di ben 165 milioni di euro. Il punto, poi, è che siccome Poste vanta la maggior parte dei suoi crediti verso ministeri e Presidenza del Consiglio, non può nemmeno far troppo conto sui 47 miliardi di euro stanziati dal Tesoro per il pagamento dei debiti commerciali. Questi soldi sono quasi tutti riservati a Regioni ed Enti locali.

Sul Fatto, Giorgio Meletti, annuncia il disastro, insospettito anche un po’ dalla eccessiva felicità di Annamaria Furlan, segretaria confederale della Cisl, che ha detto: “La maggioranza rimane allo Stato e c’è la novità importantissima dell’azionariato ai dipendenti. Tutto diverso dagli anni ’90”.
Qui c’è, secondo Giorgio Meletti, “la sintesi perfetta del disastro che il ministro dell’Economia Saccomanni ha impostato con il via libera alla vendita del 40 per cento delle azioni di Poste Italiane e del 49 per cento dell’Enav, l’ente del traffico aereo.
 
“La privatizzazione delle Poste l’ha annunciata nel 1991 un predecessore di Saccomanni, Guido Carli, con il solito tono “basta chiacchiere, passiamo ai fatti”. La vendita di pacchetti di minoranza, per fare cassa senza smettere di comandare e far rubare, è un brevetto degli esordi della seconda Repubblica.
L’Enel è ancora controllato dallo Stato ma è “privatizzato” dal 1999, e già allora con la brillante variante dei dipendenti che si comprano le azioni, indotti addirittura a spendersi l’anticipo del Tfr: le azioni furono piazzate a prezzo stellare (“dobbiamo entrare in Europa”) da un altro predecessore di Saccomanni, l’oggi giudice costituzionale e pensionato di platino Giuliano Amato. Le azioni crollarono subito dopo questa sua frase: “Il prezzo di collocamento non dovrebbe portare a delusioni”. Molti dipendenti Enel hanno poi perso anche il lavoro perché, stando in Borsa, bisogna essere competitivi tagliando gli organici. Quella delle azioni ai dipendenti è una favola triste. La Cisl si battè come una leonessa, a suo tempo, perchè venissero date le azioni ai dipendenti dell’Alitalia, un’altra società di cui si piazzò in Borsa un pacchetto di minoranza per non ostacolare politici e “portaborse delegati” nei loro furti. Fu l’allora capo della Cgil, Sergio Cofferati, a mettersi di traverso: molti hanno poi perso il lavoro nel disastro Alitalia, ma non i risparmi. Il fatto è che la Cisl è vocata a comandare nelle aziende statali. Vuoi mettere la oscura fatica di tutelare tutti con la distribuzione di promozioni agli amici? Il premier Enrico Letta annuncia per le Poste la Mitbestimmung alla tedesca, ma c’è sempre stata, con qualche differenza. Su al nord una legge impone che in tutte le società per azioni la metà del consiglio di sorveglianza siano dipendenti eletti dai loro colleghi (e non designati dal sindacato) e senza costringerli a comprare azioni. Alle Poste Giovanni Ialongo, 70 anni, è presidente da cinque anni, nominato dalla Cisl di cui è stato il capo. In forza della Mitbestimmung alla vaccinara era stato prima presidente dell’Ipost, l’istituto previdenziale dei postini. È anche grazie a lui che oggi i contribuenti devono pagare un miliardo all’anno per ripianare il buco dell’Ipost. Una cifra pari ai profitti che Poste italiane fanno da quando l’amministratore delegato Massimo Sarmi ha trasformato le rete di 14 mila sportelli in un grande supermarket della finanza, e i 140 mila dipendenti in consulenti finanziari pagati come postini.

Sarmi arriva al vertice nel 2002, in quota Gianfranco Fini, e ha la ricetta del successo. Cala il traffico postale? Riduco i postini. Il servizio postale, con meno postini e meno sportelli, fa schifo? Bene, manderanno meno lettere. Ci sono meno lettere? Taglio ancora. Perché dare un servizio decente, visto che non c’è concorrenza? Sarmi si vanta di essere “il gruppo postale più redditizio a livello europeo”, cosa che suona misteriosa a chiunque veda un ufficio postale.

Ma ha un senso. Ieri Saccomanni ha detto che deve “prolungare la convenzione con la Cassa Depositi e Prestiti”. É il momento magico. Anche quando privatizzarono le autostrade allungarono le concessioni. Le Poste raccolgono ogni anno circa 45 miliardi di risparmio postale per la Cdp. Per il disturbo Sarmi prende 1,6 miliardi all’anno. Una rendita che adesso va garantita per rendere appetibili le azioni. Fino ad ora gli utili restavano allo Stato. Adesso, invece, per incassare 4-5 miliardi (pochi, maledetti e subito che ridurranno il debito pubblico dello 0,45 per cento), bisogna promettere ai mitici privati di continuare per sempre a peggiorare il servizio postale e a spolpare l’azienda”.