La “repubblica di Google”, come far pagare le tasse allo stato virtuale

di Redazione Blitz
Pubblicato il 13 Novembre 2013 - 12:04 OLTRE 6 MESI FA
La "repubblica di Google"

La “repubblica di Google”

ROMA – 6 milioni di tasse, Google e Amazon nel 2012 hanno pagato appena 6 milioni di imposte in Italia. Il problema però non riguarda solo l’Italia. In Inghilterra, per esempio, tra il 2006 e il 2011 Google ha generato ricavi di oltre 12 miliardi di sterline, ma ha pagato solo 10, 6 milioni di imposte societarie. Come far pagare le tasse anche a Google? In questi giorni Federico Boccia (Pd) ha presentato il suo progetto, la Google Tax ma, come scrive Francesco Galietti per il Fatto Quotidiano, “la misura è stata trasbordata in tutta fretta dai binari di un treno a scartamento ridotto – la legge delega fiscale – su quelli del bolide della legge di Stabilità, in corso di approvazione. Una scelta di tempi che da un lato segnala la volontà di lasciare il segno nel dibattito pubblico, e dall’altro il desiderio di fare cassa qui e ora”.

Quali sono le altre ipotesi? Scrive Francesco Galietti:

Cosa hanno in comune Skype e Google, Facebook e Netflix? La loro natura di “sovrastruttura”, cioè l’utilizzo di Internet un’unica piattaforma indifferenziata su cui costruire i propri servizi. I francesi ragionano quindi su una tassazione basata sul consumo dell’infrastruttura di rete, concetto mutuato in parte dalla fiscalità ambientale e dal principio della proporzionalità delle imposte rispetto alle emissioni. Come la pensa l’Italia? A Roma la discussione risente dei tempi sincopati della nostra politica e rammendi fiscali. Con ogni probabilità nel breve termine è già possibile tassare gli OTT con l’attuale, vastissimo arsenale di norme fiscali, dove spiccano gli istituti della “stabile organizzazione” e quella dei “prezzi di trasferimento”. Questo eviterebbe il ricorso frettoloso a nuove cervellotiche forme di imposizione, col rischio di vedersele bocciare da Bruxelles. Molti OTT sono già stati raggiunti nel recente passato da verifiche fiscali da parte di Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza. Insomma: nell’immediato esistono già dei rimedi per evitare perdita di gettito.

Nel medio periodo, invece, vale la pena riflettere sul fatto che gli OTT assomigliano sempre più a istituzioni pubbliche che a realtà private. Come ricorda Carlo Alberto Carnevale Maffé nella prefazione all’edizione italiana di Google-Story, la nascente “Repubblica di Google” ha vissuto la sua rapida espansione nel welfare-state per i propri cittadini-utenti, a cui offre un numero sempre maggiore di servizi universali: mappe e archivi, supporti per la salute e l’educazione, servizi postali e di telecomunicazione, sistemi di pagamento e piattaforme di intrattenimento televisivo. Come tutti gli Stati, anche Google chiede tasse: non a suon di F 24, bensì con lo sfruttamento economico delle “esternalità del comportamento umano”, al centro anche dei lavori della task force francese sulla tassazione dell’economia digitale.

Non stupisce dunque che i dati in possesso dei grandi OTT siano originati sempre meno all’interno della sfera pubblica – registri, informazioni cliniche, imposte – e sempre più spesso all’interno dei potentati degli OTT, dove ogni preferenza è analizzata per divenire oggetto di cessione a controparti affamate di informazioni. Il potere dell’ “aristocrazia informativa” californiana è immenso. La visita dell’ad di Google in visita diplomatica in Corea del Nord testimonia la rilevanza globale degli OTT e il loro potere, sempre più reale e meno virtuale. Amazon ha poi appena annunciato il conio della propria valuta virtuale, e uno dei suoi fondatori ha rilevato il Washington Post – icona dell’establishment informativo occidentale. Fino a ieri, non era impossibile far confessare a un ministro dell’economia un marcato fastidio per la razza dei banchieri, “aristocrazia venale” dotata di un potere spesso superiore a quello del politico di turno. Chissà se oggi i ministri delle finanze sarebbero altrettanto sprezzanti verso i californiani in T-shirt e infradito. A giudicare dalle norme, forse manco hanno capito cosa è in gioco.