La sorte di questa Traviata tra scandali e cattivo gusto, Piera Anna Franini sul Giornale
Pubblicato il 9 Dicembre 2013 - 10:15 OLTRE 6 MESI FA
MILANO – La Traviata, la prima della stagione alla Scala dell’opera di Verdi divide tutti, “La sorte di questa Traviata tra scandali e cattivo gusto” scrive Piera Anna Franini sul Giornale:
A bocce ferme, ciarliero come non sempre accade,e raggiante per l’impresa superata, Gatti dice di non credere alle apoteosi, poiché hanno il sapore del finto. «Quello che conta è che nessuno abbia disturbato nel corso dell’opera,che tutti siano stati in silenzio fino alla fine e che quindi ci sia stato il rispetto per noi artisti. Questa Traviata ha diviso? Non tutti erano d’accordo?Che male c’è.Il teatro è fatto per dividere. E poi, non ritroviamo simili dinamiche anche in famiglia? Forse in famiglia si è d’accordo su ogni cosa?». Pienamente soddisfatta, dato il successo incondizionato, è Diana Damrau: dolce ma teutonica. Non usa diplomazie per dire che effettivamente non le sono piaciuti i costumi. Anche perché, «ho avuto due figli,l’ultimo un anno fa, e non sono ancora in forma. Non potrei ancora indossare certi abiti… ». Una Violetta – effettivamente un po’ in carne, forse imbarazzata dalle pretese del regista di farne una Marylin Monroe in salsa verdiana. A parte i costumi (perplessi anche stilisti come Armani e Curiel, in platea) la Damrau promuove questa produzione creata apposta per lei dal regista russo Tcherniakov. Che cosa in particolare? «Il fatto che non sia la Violetta che tutti hanno in testa, che non sia la vittima cortigiana, ma una donna forte che non muore di tisi ma d’amore, addolorata per il fatto di non aver amato abbastanza». Dispiaciuta per le contestazioni alla regia? «Ho assistito a contestazioni di ben altra natura. Erano da mettere in conto:è un’opera che,soprattutto fatta qui a Milano, accende tante aspettative. Anzi sa cosa le dico? Questa Traviata avrà un grande futuro ». Il regista Dmitri Tcherniakov, fra l’emozionato e il turbato, a sipario chiuso ha confessato apertamente quanto fosse «preoccupato della messinscena di Traviata , capisco cosa rappresenti per voi questo titolo. E invece, una volta arrivato qui, nessuno mi ha guardato come il giovanotto ( in realtà 43ennendr ) venuto dalla Russia. Tutti mi hanno aiutato, mi hanno preso sottobraccio. Ho sentito tanto calore».
Regia troppo moderna? E basta con moderno-troppo moderno, dice Stéphane Lissner, il sovrintendente al suo ultimo 7 dicembre, tutto preso – ormai – a levarsi sassolini dalle scarpe. C’è chi dissente? Li bolla con un «talebani». E via con il mantra: «La missione di un teatro pubblico è confrontarsi con la contemporaneità, e ben lo sanno gli artisti, sanno cosa è accaduto a Lampedusa, conoscono la crisi, conoscono il mondo in cui vivono. Il teatro non è puro diletto. Deve far riflettere ». Ora testimone passa a Alexander Pereira conquistato dal fatto di operare in una città da tre milioni di abitanti, nell’anno di Expo. E che non usa il pronome «Voi» quando si rivolge agli Italiani. Indelicatezza lissneriana della quale non avvertiremo la mancanza.