ROMA – Mandragora o spuma di stallone, ostriche o sangue di gladiatore o, ancora, testicoli di animali dall’aspetto e dall’indole focosa.
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Ogni epoca aveva ed ha, visto che la nostra non fa eccezione, la sua ricetta per rinvigorire la sessualità maschile, il suo afrodisiaco capace di far dimenticare le paure dei più giovani e far superare le difficoltà ‘tecniche’ dei più grandi. Oggi questo ha l’aspetto di una piccola pasticca di forma romboidale e colore azzurro ma, prima di sua maestà il Viagra, ogni civiltà si è cimentata nella ricerca del sacro Graal della libido.
Spesso con risultati non solo lontani ma persino opposti a quelli desiderati. Il tema della sessualità maschile, della capacità erettile che dall’alba dei tempi è associata all’idea di maschio e di potere, è da sempre un cruccio degli uomini. E se oggi, almeno nel mondo che conosciamo più da vicino a vincere è la scienza e quindi la molecola individuata, studiata, sintetizzata e commercializzata con il Viagra, in passato a farla da padrone erano intrugli e pozioni che affondavano la loro ragion d’essere non nella scienza ma nella magia e nella superstizione.
Gli egizi, tra i popoli più antichi di cui conosciamo le ricette afrodisiache, si affidavano per lo più a piante di vario tipo: dal finocchio al melograno sino alla mandragora, senza dimenticare i sapori piccanti ottenuti con lo zenzero, il coriandolo o i ravanelli. La vera bomba era però la cipolla, quella stessa cipolla che oggi consideriamo nemica del sesso per ragioni olfattive e che all’epoca era invece addirittura proibita ai sacerdoti che avevano pronunciato voti di castità. Sempre gli egizi poi, e lo sappiamo grazie ad un papiro conservato a Londra, consideravano anche la spuma proveniente dalla bocca di uno stallone come un unguento utile da applicare.
Più vicini a noi i greci che facevano nascere Afrodite, dea dell’amore e della fertilità oltre che radice del termine stesso ‘afordisiaco’, dalla spuma del mare e per questo consideravano i prodotti del mare particolarmente indicati per aiutare la libido. Ostriche quindi ma frutti di mare in genere per ravvivare la sessualità insieme a caviale e pesce mentre, il grande medico Galeno, un po’ controcorrente puntava sui pinoli. Per i romani invece gli afrodisiaci e le pozioni che vantavano questa caratteristica divennero persino un problema. Per aiutare la sessualità ed in particolare quella maschile gli abitanti della città eterna si affidavano infatti a pozioni e strani intrugli che molte volte si rivelavano non solo inutili ma persino dannosi in quanto velenosi. Secondo alcune tesi lo stesso imperatore Caligola sarebbe impazzito dopo aver bevuto uno di questi intrugli e Vespasiano arrivò a vietarne la vendita e la preparazione, pena la morte.
Proibizioni o meno i romani, oltre a mandragora e varie altre piante, ritenevano che avessero effetti afrodisiaci i cuori e i testicoli di alcuni animali ma anche alcune parti dei cadaveri umani, specie quelli provenienti dagli impiccati. Alla caduta dell’impero anche la fortuna millenaria degli afrodisiaci entrò in una parabola discendente vedendoli relegati alla quasi assoluta clandestinità. Ragione evidente fu l’avvento del cristianesimo e di una nuova moralità che forse per la prima volta confinava la sessualità nella vita privata delle persone alla stregua di un atto vergognoso se non maligno.
Restarono, ovviamente, gli afrodisiaci e le loro ricette che venivano però usate di nascosto o al contrario, cioè per stabilire quali fossero gli alimenti più casti del buon cristiano. Grandi assenti di questo breve elenco, almeno in apparenza, l’alcol e le droghe in uso nelle varie epoche. Sostanze queste che aiutano probabilmente dal punto di vista psicologico a superare imbarazzi ed allentare la tensione – l’esempio classico è quello del bicchiere di vino – ma che, dal punto di vista fisiologico, non aiutano. Il famoso bicchiere di vino infatti, se da una parte è ottimo per rompere il ghiaccio, è allo stesso tempo un vasocostrittore che complica il meccanismo dell’erezione.
Erezione che, come scrive su La Stampa Andrea Cionci, è “l’unica manifestazione del corpo umano che da sola non dipende dalla volontarietà e, al tempo stesso, non è una funzione spontanea come la digestione o la respirazione, ma è legata alla più vitale fra le pulsioni umane, la libido, un’energia psichica, una spinta vitale che esula dalla sfera sessuale e può esser sublimata e investita in interessi come l’arte, la politica, lo studio, la ricerca, insomma, in tutto ciò che è alla base della civiltà umana”.