La tribù di Alessio: “Guardie infami, picchiare una rumena che reato è?”

Pubblicato il 19 Ottobre 2010 - 16:03 OLTRE 6 MESI FA

Ormai è una regola rispettata, una cara abitudine, un punto d’onore: quando la legge, anzi le “guardie” vengono ad arrestare uno dei “tuoi” alle guardie si grida “infami” e per il “tuo”, quello della tua tribù si invoca “libertà”. Per dirla in parole fini si chiama “etica della prossimità”, cioè la legge è buona se non tocca la “gente” a me prossima, altrimenti è “infame”. Per dirla in parole toste e franche la possiamo chiamare la sindrome del “vaffa alla legge se la legge non fa il comodo mio”. Fino a qualche tempo fa era un comportamento, emergente ma limitato, nei luoghi dove il crimine era legge e costume: Scampia a Napoli, certi quartieri di Palermo, la Locride in Calabria. Lì, quando arrivava la polizia ad arrestare, la popolazione faceva barricata e resistenza contro la polizia e proteggeva i suoi “figli”. Soprattutto suoi e soprattutto figli. Delinquenti anche? Secondario, accessorio, pretestuoso, comunque irrilevante.

Da qualche tempo è invece comportamento standard, riproposto l’altro giorno a Roma dagli amici di Alessio Burtone. Amici regolarmente inquadrati dalle telecamere di tutte le tv mentre, sciarpa della Lazio o della Roma al collo (uniti nella lotta contro le guardie), mani che ritmano come in curva allo stadio, braccia che si tendono in alto a salutare e minacciare, cantavano: “Alessio libero”. Sono una cinquantina ma dietro ne hanno molti di più che stanno zitti non per prudenza ma per manifesta complicità silenziosa. Intonano: “Carabiniere pezzo di merda”. Precisano: “Alessio, uno di noi”.

Uno di loro Alessio Burtone che ha colpito con un “destro” Maricica la rumena spedendola prima all’ospedale e poi al camposanto? Forse sì, forse Alessio Burtone è proprio “uno di loro”. Non solo quel giorno nella metropolitana all’Anagnina, ma altre due volte nel solo 2010 Alessio ha picchiato, picchiato per strada. Una volta una donna, una donna come Maricica la rumena. “Con calci e pugni al viso” come racconta l’ordinanza di custodia cautelare, cioè la decisione del giudice che lo manda in galera come “soggetto ad abituale e irrefrenabile ricorso alla violenza”. Uno di  loro, di loro che rivendicano: “Alessio ha fatto quello che avrebbero fatto tutti al posto suo”. Tutti chi? Tutti quelli della tribù.

Perchè quelli della tribù spiegano e rivendicano ancora che è una storia di tribù e come tale doveva essere trattata. Gridano ad Alemanno: “Sindaco di Bucarest, speriamo che i rumeni ti vengono a rubare a casa”. Vogliono che tutti capiscano che prendere a pugni una rumena non è reato, che in galera non si può andare per così poco. Sono cinquanta e pure “ultras”, ultras di quartiere e del quartiere. Solo ultras e ultras soli? Una signora, una normalissima signora sentenzia e sibila: “Tutto questo casino per una rumena”. Voce di gente, voce di popolo, cioè di tribù che ringhia e sbuffa contro la legge “infame”.